Franco Bechis, Libero 24/11/2010, 24 novembre 2010
IL VIZIETTO DI GIORGIO, GIOCARE AL PREMIER CON I VOTI
L’ultima sparata è quella tirata fuori ieri al Quirinale da Giorgio Napolitano che stava ricevendo un po’ di cineasti e teatranti per la consegna dei premi Vittorio De Sica. «Non è mortificando la cultura che si sana il bilancio», il Capo dello Stato ha bacchettato il povero Sandro Bondi lì presente, aggiungendo di ritenere inspiegabile «la soppression edi enti come l’Eti». Piccola buccia di banana su cui è scivolato il presidente della Repubblica, perché di poco spiegabile nella storia dell’Ente teatrale italiano (in sigla appunto Eti) c’è semmai cosa abbia fatto, perché sia nato e per quale oscuro motivo sia stato tenuto in vita tanti anni. Per altro la sua soppressione porta la firma proprio di Napolitano, essendo avvenuta con decreto legge del 31 maggio scorso. Ed essendo già stato assorbito il piccolo manipolo di personale all’interno di una apposita direzione dei Beni Culturali che ne ha ereditato le funzioni, il problema della soppressione riguarda solo i consiglieri di amministrazione e il collegiosindacale dell’Ente disciolto: 9 persone in tutto, tutte autorevolissime (fra loro c’è anche Giorgio Albertazzi)ed evidentemente dotati di buone entrature al Quirinale, ma insomma gente che non sarà as passo per questo e che può rinunciare nell’anno dei sacrifici di tutti a quel prezioso emolumento e ai suoi gettoni di presenza collegati. Come possa essere sceso in campo il presidente della Repubblica per difendere quelle nove poltrone è un mistero.Ma non è il primo incidente di Napolitano. Trascinato come è accaduto a quasi tutti i suoi predecessori dalla sindrome di Sandro Pertini, il capo dello Stato fa sempre il bambino con i bambini, il ricercatore con i ricercatori, il cineasta con i cineasti e via finchè può. Cerca l’applauso e di essere simpatico e gradito alla platea che si trova di fronte. E se per aggiungere un po’ di popolarità tira le orecchie al governo in carica, Napolitano non si tira indietro. Anche se più di una volta ha rischiato di esondare. La stessa scena vista ieri al Quirinale per i premi De Sicaera già stata filmata negli ultimi due mesi sia al Giffoni film Festival che alla Mostra del cinema di Venezia, appuntamenti a cui il presidente della Repubblica non manca mai. Anche lì aveva tirato le orecchie al povero Bondi, sua vittima preferita (e un po’ canagliesca, visto che è noto a tutti come il ministro dei Beni culturali abbia subito protestando en on promosso i tagli di Giulio Tremonti) perché il mondo del cinema aveva visto ridursi i contributi pubblici. Il capo dello Stato a Giffoni si era fatto perfino cinefilo, per dare più sostanza al suo schierarsi con la platea che aveva di fronte. Ma poi volle esagerare,f acendo correre un brivido gelato fra la folla: «Amo tantissimi film! I miei preferiti? Roma città aperta (Roberto Rossellini- anno 1945- ndr) e il meraviglioso Vincitori e Vinti (Stanley Kramer- 1961)sul processo di Norimberga». Napolitano doveva difendere il cinema dei giovani autori italiani e non ha trovato di meglio che citare un film italiano del1945 e uno straniero di 49 anni fa.
IL CASO UNIVERSITA’
Il suo “non ci sto”davanti ai tagli a cinema e teatri è uno dei copioni preferiti dal Capo dello Stato, e va in scena spesso, più o meno quanto il copione parallelo sui tagli alla ricerca. Ormai si conosce a memoria e anche i poveri ministri Bondi e Mariastella Gelmini se ne sono fatti una ragione. Ma sulle barricate anti-tagli qualche volta il presidente della Repubblica è salito con un disegno più politico. Come a settembre, quando Napolitano ha tuonato sui ricercatori e i precari tagliati da mondo della scuola e dell’Università. L’uscita pubblica del Capo dello Stato è avvenuta il giorno successivo a un incontro segreto (per noi giornalisti, non per il Quirinale che sa sempre tutto) al ministero dell’Economia fraTremonti e il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Fra i due c’è un certo feeling, tanto è che molte coseinserite nell’emendamento sviluppo alla legge finanziariavengono proprio da Bersani. Ma la richiestadi quel giorno è sembrata irricevibile: «Giulio,mi devi assumere i 72 mila precari della scuola».Con l’oltre milione di dipendenti il ministero della pubblica istruzione italiano è il secondo organismo pubblico al mondo per grandezza dopo l’esercito della Cina popolare. È evidente come i suoi problemi non si risolvano ingrassando ancora lesue fila. Ma a Bersani stava a cuore e il presidente della Repubblica il giorno dopo ha urlato la stessae sigenza ai quattro venti.
E QUI COMANDO IO
A Napolitano poi non piace in modo particolare né Berlusconi né il suo modello, tanto da avere preso in uggia perfino Sergio Marchionne, difendendo a fine agosto i tre cassintegrati di Pomigliano che l’amministratore delegato di Fiat aveva messo alla porta. A Berlusconi - sempre a settembre- avev afatto un bello scherzetto: appena il premier ha svelato i cinque punti del programmasui cui chiederela fiducia in Parlamento, e fra questi c’era anche la giustizia con il processo breve, il Capo dello Stato ha fatto filtrare dai suoi collaboratori la sua avversità:il processo breve, no. Si rischia di graziare troppi colpevoli. E Berlusconi obbedendo come uno scolaretto,l’ha ritirato. A metà ottobre Napolitano invia un suo messaggio all’Abi, che si lamentava dellalunghezza della giustizia: «Avete ragione, i processi sono lunghi, il governo deve attivarsi per abbreviarli e dare agli italiani il giusto processo cui hanno diritto». L’esatto contrario di prima. Un po’ come nella vicenda della nomina del ministro dello Sviluppo Economico, che è sembrata da “Oggi le comiche”.
Per tre mesi Napolitano andava a un convegno e tuonava: «Qui ci vuole un ministro. L’Italia è in crisi». Berlusconi correva da lui pronto: «Ecco i lministro: Paolo Romani». E Napolitano diceva “no, Romani no”. Botta e risposta continui. Con un no motivato con l’evitare il conflitto di interessi. Poi Berlusconi ha spiegato a Napolitano che Romani era già viceministro e si occupava solo di tv. Facendolo ministro avrebbe avuto meno conflitto di interessi di prima, perché costretto ad occuparsi di altro. Alla fine con una smorfia Napolitano l’ha mandata giù. Cosa che non aveva voluto fare l’anno prima con il decreto legge su Eluana e in molte altre occasioni in cui pretende prima di decidere che cosa può portare in consiglio dei ministri o no il governo. Visto che gli è stato concesso troppe volte lo ius primae noctis sulle leggi, Napolitano ci ha preso gusto e ora che sul decreto rifiuti Berlusconisi è dimenticato di inviare prima la bozza, se ne è avuto male. E l’ha subito esternato. Perché come dice quell’ultima canzone italiana cara a Re Giorgio(e guai a Bondi se gliela taglia). “E qui comando io,questa è casa mia…” (Gigliola Cinquetti- 1972)…