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 2010  novembre 24 Mercoledì calendario

PISANU: NO AL VOTO. UN ALTRO ESECUTIVO ANCHE SENZA IL PREMIER

Presidente Pisanu, due mesi fa sul Corriere lei propose un governo di responsabilità nazionale, allargato a Fini e a Casini. Ora la prospettiva è meno remota.
«Sì, l’idea si è consolidata. Sento però anche tanti proclamare di non temere le elezioni anticipate. Io invece le temo. Resto totalmente contrario, perché ho paura del cozzo devastante tra crisi politica e crisi economica, la "tempesta perfetta" che si abbatterebbe sul nostro paese. I grandi speculatori della finanza internazionale ne hanno già sentito le avvisaglie e si sono messi in agguato».
Berlusconi dice che le elezioni anticipate sono l’unica alternativa a questo governo.
«Ma quell’alternativa non regge neppure sul piano degli interessi politici di parte. Innanzitutto perché la richiesta di scioglimento delle Camere romperebbe il patto con gli elettori, che ci hanno dato una maggioranza senza precedenti per governare l’Italia fino alla naturale conclusione della legislatura. E poi perché il risultato elettorale più probabile premierebbe le ali estreme dei due schieramenti, rendendo il sistema ancor meno governabile. Va da sé che il primo sconfitto sarebbe il partito di Berlusconi». Si è parlato di un governo tecnico, magari guidato da lei. È una possibilità?
«No. Un governo provvisorio sarebbe l’anticamera delle elezioni anticipate, e servirebbe soltanto ad allungare lo stato di precarietà e di maggior rischio per il nostro Paese. Questi sono tempi molto difficili. Siamo, come dice Tremonti, a un tornante della storia; o, come dicono altri, a un passaggio cruciale della nostra esperienza repubblicana, e abbiamo bisogno di governi stabili per tenere la carreggiata». Siamo alla fine della Seconda Repubblica? «Ho l’impressione che la Seconda Repubblica sia soltanto la coda inquieta della Prima; un po’ come la coda della lucertola, che continua ad agitarsi anche dopo che è stata mozzata. In ogni caso, la Seconda o Prima Repubblica ci consegna problemi davvero epocali, che premono tutti insieme e reclamano soluzioni. Rischiamo di diventare un Paese di serie B. Penso non solo alla crisi economica, ma anche al declino della famiglia e delle nascite. Al dissesto idrogeologico: una volta avevamo le fiumare calabresi, ora l’allarme è a Vicenza. Al degrado ambientale: a Napoli si cominciano a vedere i topi per le strade, e a Palermo ci stiamo arrivando. Al divario Nord-Sud e all’incrinatura evidente dell’unità nazionale. All’impoverimento dei ceti produttivi e alla crescita delle diseguaglianze. Alla caduta simultanea del tono morale, culturale e persino religioso della nostra società». Dove vede la via d’uscita? «Né a destra, né a sinistra, né al centro. È dentro i grandi problemi, e nella ricerca dei rimedi possibili. Gli schemi politici dell’800 e anche le semplificazioni più recenti del bipolarismo servono a ben poco. Serve invece mobilitare le energie migliori intorno a un progetto comune per uscire dalla crisi e proporre agli italiani l’idea di un futuro dignitoso».
I partiti non sembrano pronti a collaborare.
«Ma la Confindustria e le grandi organizzazioni sindacali, che pure rappresentano interessi naturalmente contrapposti, ci stanno dimostrando che si può lavorare tutti insieme per un nuovo patto sociale all’insegna del bene comune. Emma Marcegaglia conferma di avere il senso della responsabilità politica, così come Bonanni e Angeletti; e credo che da Susanna Camusso avremo sorprese positive. Possibile che in un’emergenza storica come questa non sappiano fare altrettanto i partiti e i politici di buona volontà, che oltretutto sono portatori di interessi generali? O il senso di responsabilità nazionale, quello che appartenne a De Gasperi e Togliatti come a Moro e Berlinguer, è morto con la Prima Repubblica?».
Qui pare che non si mettano d’accordo neppure Fini e Casini.
«Se cessano i toni perentori e gli aut-aut da una parte e dall’altra, le posizioni di Fini e di Casini, che credo di conoscere abbastanza, possono tranquillamente procedere in questa direzione». E la Lega? «Mi sembra abbagliata dall’idea di un immediato successo elettorale. Il 10-12% che le assegnano i sondaggi è certo allettante. Ma, se ha tempra politica, la Lega deve accettare sfide più alte. E in ogni caso il Pdl non può subire la sua iniziativa, con il rischio oltretutto di cederle altro spazio politico e altro peso elettorale». Berlusconi è pronto a un nuovo governo? «Berlusconi è per volontà degli elettori il regista e il primattore di questa stagione politica. Può fare entrambe le parti, o sceglierne una sola».
Sta dicendo che è possibile un governo guidato da un premier che non sia Berlusconi?
«Questo dipende da lui. Quel che invece non può scegliere è la via di fuga delle elezioni anticipate, posto che il presidente della Repubblica e le circostanze gli consentano di imboccarla agevolmente. Penso che il 14 dicembre Berlusconi debba riproporre il patto di legislatura. Dicendo tutta la verità agli italiani non solo sulla gravità della crisi economica e sociale, ma anche sugli altri rischi che se non verranno scongiurati determineranno una sorta di cedimento strutturale dell’Italia. Già ora siamo il paese che negli ultimi dieci anni è cresciuto meno e ha fatto meno figli». Il premier aveva indicato cinque priorità. «Al primo posto dobbiamo mettere famiglia, impresa e lavoro. Subito dopo, federalismo solidale e funzionalità democratica. Con una nuova legge elettorale». Quale? «Abbiamo bisogno di una legge che rafforzi i poteri degli elettori, e soprattutto che elimini quel premio assurdo in virtù del quale la minoranza più forte può prendere la maggioranza assoluta dei deputati, sconvolgendo l’esito generale delle votazioni». Sarebbe la fine del bipolarismo. «Di questo bipolarismo selvaggio. Non della democrazia dell’alternanza. Che va impostata su basi diverse, tra schieramenti omogenei al loro interno, meno condizionati dai Bossi e dai Di Pietro». C’è spazio per il terzo polo centrista? «Non parlerei di un terzo polo. Se lo scontro tra berlusconisti e antiberlusconisti si radicalizza, si aprono spazi forse imprevedibili per una forza moderata».
La guerra dei simboli tra Berlusconi e Fini è una cosa seria? «Mi pare il casus belli della Secchia rapita. Ma non vedo né morti né feriti».
Ma secondo lei il 14 il governo avrà la fiducia?
«Credo e spero di sì. Anche perché così si allontana il pericolo dello scioglimento anticipato delle Camere». Quindi il suo voto non è in dubbio? «Ovviamente no». Ma quale dovrebbe essere il confine a sinistra del governo di responsabilità nazionale?
«Penso che il patto di legislatura debba comprendere anche il partito di Casini, e debba aprirsi a una positiva competizione politica con i partiti del centrosinistra. Confini, non barricate. Siamo in un momento storico particolarmente difficile, e il paese ha bisogno delle buone idee e della buona volontà di tutti».
D’Alema si è divertito a paragonare le correnti del Pd a quelle della vecchia Dc. A sé ha riservato il ruolo di Aldo Moro, di cui lei fu stretto collaboratore. Che effetto le fa?
«Tanti anni fa, quando ero sottosegretario alla Difesa, il ministro era Giovanni Spadolini, che di Moro era amico ed estimatore. Un giorno Spadolini mi disse che eravamo della stessa corrente ma di diverso partito. Ne fui e ne sono ancor oggi lusingato».
Aldo Cazzullo