Sergio Romano, Corriere della Sera 24/11/2010, 24 novembre 2010
LAMPI DI GUERRA SOTTO LO SGUARDO DELLA CINA
Come in ogni altro incidente accaduto fra le due Coree, il Nord e il Sud si accusano a vicenda di avere violato le regole dell’armistizio. Ci piacerebbe credere che il duello d’artiglieria sull’isola di Yeonpyeong sia soltanto un errore di giudizio commesso da comandanti militari che si guardano in cagnesco e reagiscono nervosamente a qualsiasi minaccia, vera o presunta, sin dal giorno dell’armistizio di Panmunjom. Se la marina del Sud, come negli scorsi giorni, compie esercitazioni militari al largo dell’isola e mette alla prova l’efficacia dei suoi cannoni, non è possibile escludere che lo scambio di artiglieria sia il frutto di un malinteso. Ma questo è soltanto l’ultimo episodio di una tensione che si prolunga ormai da molti mesi. Il 26 marzo di quest’anno una torpediniera nordcoreana ha affondato una nave da guerra del Sud provocando la morte di 46 marinai. Il Nord ha negato qualsiasi responsabilità, ma le conclusioni di una commissione d’inchiesta hanno provato il contrario. Il 29 ottobre vi è stato un incidente di frontiera con scambio di armi da fuoco. Pochi giorni fa i nordcoreani hanno mostrato a uno scienziato americano, in visita al loro Paese, un nuovo reattore nucleare ad acqua leggera, forse destinato alla fornitura di elettricità, forse utilizzabile per la produzione del plutonio necessario alla fabbricazione di un ordigno nucleare. Contemporaneamente, con grande sorpresa dei Servizi americani, la Corea del Nord ha annunciato al mondo di avere completato la costruzione di un impianto per l’arricchimento dell’uranio dotato di almeno un migliaio di centrifughe. Queste sono notizie incomplete, difficilmente verificabili, forse intenzionalmente ingrossate dal regime comunista del Nord per aumentare la posta di cui disporrebbe nella eventualità di un negoziato. Ma l’«incidente» dell’isola di Yeonpyeong dimostra che la Corea del Nord sa praticare con grande spregiudicatezza il pericoloso gioco che si chiamava, negli anni della Guerra Fredda, «brinkmanship», vale a dire l’arte di giostrare con il nemico sull’orlo del precipizio. Esistono poi altri segnali, non meno interessanti. La Corea del Nord ha un leader supremo al vertice di uno Stato totalitario. Si chiama Kim Jong-il ed è figlio del leggendario Kim il-Sung, fondatore dello Stato. Ma Kim jr è stato vittima di un ictus e, a giudicare dalle immagini che lo ritraggono, è visibilmente malato. Il successore designato è il figlio più giovane, Kim Jong-un, chiamato alla presidenza della Commissione militare (un organo decisivo, come in Cina, per l’esercizio del potere) nel corso di un congresso straordinario del partito che si è tenuto alla fine di settembre. Così funzionano ormai alcune delle dittature sopravvissute alla Guerra Fredda. Ma la Corea del Nord non è soltanto una monarchia comunista. È anche una oligarchia militare in cui le forze armate sono una casta potente, decisa a conservare il potere e gli straordinari privilegi di cui gode in un Paese miserabilmente povero. Possiamo immaginare che il laborioso rito della successione nasconda la gelosia di fazioni che si contendono le leve del comando. E non possiamo escludere che i giochi d’azzardo sul fronte dei rapporti con la Corea del Sud servano a creare il clima di guerra in cui una fazione può estromettere l’altra accusandola di non essere sufficientemente decisa e «patriottica». Sono soltanto ipotesi, naturalmente, ma spiegano forse perché la Cina si sia limitata a dichiarare salomonicamente che le due Coree dovrebbero dare «un maggiore contributo alla pace».
Sergio Romano