MARIO BAUDINO, La Stampa 24/11/2010, pagina 41, 24 novembre 2010
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De Amicis-Franti un “caso del diavolo” - Nei Ricordi d’infanzia e di scuola , pubblicato nel 1901, un Edmondo De Amicis assai provato dalla vita descrisse per l’ultima volta i luoghi dell’infanzia, in un crescendo aneddotico che culminava nella visione di una «città immensamente lontana, posta quasi ai confini del mondo, che si disegna in contorni azzurri sulla bianchezza d’un’alba luminosa»
De Amicis-Franti un “caso del diavolo” - Nei Ricordi d’infanzia e di scuola , pubblicato nel 1901, un Edmondo De Amicis assai provato dalla vita descrisse per l’ultima volta i luoghi dell’infanzia, in un crescendo aneddotico che culminava nella visione di una «città immensamente lontana, posta quasi ai confini del mondo, che si disegna in contorni azzurri sulla bianchezza d’un’alba luminosa». La città era Cuneo, dove lo scrittore trascorse infanzia e adolescenza dal 1848, quando vi arrivò a due anni, al 1862, quando la lasciò per l’Accademia militare. È un periodo decisivo per il Risorgimento: ed è quello in cui De Amicis ebbe le esperienze che segnano la vita. Sono però anni spesso cancellati nell’immagine dello scrittore, tutto sommato trascurati anche dagli studiosi. Per tutti, l’autore che la mamma volle chiamare Edmondo in omaggio al Conte di Montecristo arrivò direttamente o quasi dalla natia Imperia a Torino. Per tutti, ma non per i cuneesi, che hanno inventariato le tracce rimaste, pagelle scolastiche - non sempre lusinghiere - comprese. Forse non basta per affermare che i personaggi del Cuore , i Garrone e i Franti, sono cuneesi doc; ma è vero che le scuole di cui ha avuto esperienza lo scrittore erano là, nella «città lontana» in preda all’entusiasmo patriottico; quello fu il clima risorgimentale che respirò, e che portò nella sua opera. De Amicis scrive nei Ricordi che non gli riuscì mai di avvicinare Garibaldi, ma a sedici anni provò in tutti i modi ad arruolarsi per andare a battersi in Sicilia. Non ci riuscì perché l’emissario garibaldino predispose sì la partenza, ma chiese anche il consenso della famiglia. Avvisò la mamma, e non se ne fece niente. I De Amicis erano una famiglia importante: il padre, «Regio Banchiere dei Sali», gestiva e organizzava la consegna del prezioso genere di monopolio. Funzionario statale integerrimo, ma anche buon pittore, signoreggiava su una casa-caserma oggi abbattuta, mentre il piccolo Edmondo si dava a competizioni ginniche con gli amici nel vasto cortile, tra sacchi e carriaggi. Walter Cesana, in Edmondo De Amicis negli anni cuneesi (ed. Nerosubianco) ha raccolto le testimonianze che i compagni, diventati adulti, rilasciarono poi sull’ormai illustre coetaneo. Ne viene fuori un personaggio che ha già in potenza, nei gusti e nel carattere, molti dei libri che scriverà. Si scopre ad esempio che era atletico, sportivo e quasi imbattibile sul piano fisico (in attesa di Amore e ginnastica ), e soprattutto era un tipo scherzoso. Un Franti? Forse no, ma è indubbio che a scuola era un piccolo leader anticonformista; al ginnasio inventò un giornalino, scritto e disegnato in proprio, in onore del professore di lettere, che vestiva pantaloni smisurati su una pancia altrettanto enorme. Il titolo era Chiel e le sue braie (lui e i suoi calzoni). Scoperto, fu «un caso del diavolo», come narrò in seguito il compagno di scuola Giuseppe De Matteis in un lungo articolo sulla Sentinella , il quotidiano locale. Crollarono sia il voto di italiano sia quello in condotta. Il giovanotto non era quell’«Edmondo dei languori» che sarebbe divenuto, almeno secondo il malevolo Carducci. Il «caso del diavolo» segnò anche l’addio alla piccola città, perché l’anno successivo De Amicis scelse l’Accademia di Modena. Le divise gli piacevano. Aveva ammirato tanti soldati, soprattutto i bersaglieri che aveva visto partire per la guerra di Crimea, la prima mossa strategica della battaglia per l’Unità d’Italia, e tornare assai provati. Condivideva il grande entusiasmo che aveva pervaso Cuneo dopo il discorso sul «grido di dolore» tenuto da Vittorio Emanuele II, anche se non gli sfuggiva un certo disincanto dei contadini, che rispondevano alla leva militare con rassegnazione fatalista. C’era infine un altro motivo per la partenza: il padre, colpito da ictus, aveva dovuto lasciare il lavoro. Rispetto al tenore di vita precedente cominciavano le ristrettezze. Abbandonata la grande casa sui baluardi della città, i De Amicis si trasferirono in un appartamento più modesto, sempre nel centro storico, che solo di recente è stato identificato in via Fossano 1. Proprio in quella casa c’è un noto ristorante, la cui sala da pranzo al primo piano coincide esattamente con quella dove, seppure per poco tempo, pranzò e cenò il futuro scrittore. È un luogo ideale per ricordarlo, come faranno venerdì, dopo aver apposto una targa, i simpatici membri del «Convivio De Amicis». L’associazione è tra l’altro strettamente imparentata con quella, ormai storica, degli «Uomini di mondo», sorta in omaggio a Totò e a quanti, come dice una battuta del principe De Curtis, essendo «uomini di mondo» hanno fatto «il militare a Cuneo». L’omaggio è doveroso, per un autore certamente di mondo, e ora un po’ a sorpresa cuneese ritrovato.