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 2010  novembre 24 Mercoledì calendario

La rivoluzione l’ha fatta il latte (2 articoli) - Per un archeologo è la più insolita delle cacce al tesoro

La rivoluzione l’ha fatta il latte (2 articoli) - Per un archeologo è la più insolita delle cacce al tesoro. Più elusivo di una scrittura perduta; più prezioso del corredo funerario di un faraone. Un tesoro al microscopio: si tratta di un enzima. Per la precisione, della lattasi, che permette di scindere il lattosio in glucosio e in galattosio nell’intestino tenue e di rendere digeribile una tazza di latte alla maggioranza degli europei e degli americani adulti. Secondo i ricercatori del Progetto Leche (latte in spagnolo e sigla per Lactase persistence and Early Cultural History of Europe), questo enzima è la chiave che permette di aprire i segreti della preistoria europea. «Un tempo c’è stata una rivoluzione bianca», ha spiegato l’antropologo Joachim Burger dell’Università di Mainz e membro del team del Leche. La rivoluzione del latte ha avuto luogo nell’Europa centro-orientale, nel Neolitico, circa 8 mila anni fa. Dopo la rivoluzione del fuoco, e prima di quella dei metalli. Come tutte è stata cruenta. Gli archeologi che indagano la cultura della ceramica lineare, la prima a fare uso del latte di mucca come alimento, ha scoperto fosse comuni, testimonianze di omicidi di massa. All’analisi del Dna, poi, i vincitori risultano i «possessori» del cromosoma 2, che permette di digerire il lattosio. Il cromosoma del latte. Aggiornamenti continui Il gruppo del Leche, che comprende archeologi, antropologi, paleobiologi, si incontra regolarmente per fare il punto sulle più recenti scoperte realizzate dalla rete di ricercatori. Il progetto è in continuo aggiornamento e vede impegnati 13 istituti di sette Paesi europei. L’area d’indagine va dai Balcani all’Ucraina e fino al Nord della Francia. Ora gli studiosi sono convinti di essere arrivati a un punto di svolta nella comprensione delle origini dei popoli europei. I risultati sono stati riportati da riviste specialistiche come «Nature» e «BMC Evolutionary Biology». E infatti è stata individuata la culla dei primi bevitori di latte europei: in un’ area compresa tra Ungheria, Austria e Slovacchia. «E’ la stessa zona dove si è sviluppata la cultura della ceramica lineare. Qui la tolleranza al lattosio è diventata una caratteristica stabile della popolazione in modo piuttosto veloce», spiega Burger. Ma qual è stata la causa di questa mutazione genetica nell’ arco relativamente breve di un centinaio di generazioni? E come ha influito sulla prima storia europea? Il network del Leche ha messo a punto una teoria confermata da scavi recenti in Turchia e in Medio Oriente. Confrontati poi con i dati raccolti in Europa sul Dna degli umani del Neolitico e delle loro antiche mandrie. «L’analisi dei resti indica un’evoluzione in parallelo», sostiene Anders Gothestrom, professore di genetica dell’evoluzione all’ Università di Uppsala e coordinatore del progetto europeo. E anche una provenienza: il Vicino Oriente. La resistenza al lattosio segue di poco all’introduzione dell’agricoltura e dell’ allevamento in Europa, intorno al 5300 avanti Cristo. Nella «Mezzaluna Fertile», tra Iran e Palestina, erano già pratiche comuni da millenni. Finora l’ipotesi prevalente era che piccoli gruppi di «missionari» avessero esportato e diffuso i principi e le prime tecnologie agricole in quello che allora era il nuovo continente. Le prove raccolte dal Leche indicano, invece, una migrazione di massa dall’Asia attraverso lo stretto del Bosforo. I migranti, arrivati dall’ Oriente, avrebbero portato semi, mandrie e greggi. E una cultura sofisticata. In Europa vennero in contatto con le tribù di cacciatori e raccoglitori che abitavano il continente dall’era glaciale. E non sarebbero stati contatti amichevoli. Sono state rintracciate vere e proprie «fosse della morte», come quella di Talheim, in Germania, con i resti di un intero clan sterminato a colpi di bastone e accetta. Mentre i nuovi arrivati trinceravano i loro villaggi dietro palizzate, gli «indigeni europei» prendevano d’assalto le fortezze del popolo della ceramica lineare. La marcia dei popoli venuti dall’Oriente incontrò una lunga resistenza lungo le rive del Reno. «Le analisi indicano la presenza di due ceppi genetici completamente diversi - dice Burger -. C’era sicuramente un divieto rigoroso sulle unioni miste. Gli allevatori non permettevano neppure che i loro bovini domestici s’incrociassero con l’uro, il famoso bufalo selvatico europeo». L’arma segreta In questa guerra remota gli invasori avevano un’arma segreta: il latte. Curiosamente, i loro antenati orientali non avevano l’enzima per scindere il lattosio. Come a molte popolazioni africane e asiatiche di oggi, il latte provocava loro violenti mal di pancia. Così veniva utilizzato per essere trasformato in yogurt e formaggio, alimenti a basso contenuto di lattosio. E’ in Europa che avviene la mutazione genetica. E fu proprio il latte a segnare una linea di divisione: un «milk divide». L’alimento permise una maggiore crescita demografica nei villaggi della ceramica lineare e i cacciatori furono rapidamente sopraffatti. Dopo appena pochi secoli i popoli resistenti al lattosio dominavano già l’Europa. FABIO SINDICI *** I sapiens, astuti figli di eruzioni e terremoti - Le teorie migliori sono semplici. E allora quella di Geoff Bailey e Geoffrey King è quasi perfetta. Provate a sovrapporre - come hanno fatto loro - una proiezione satellitare dell’Africa sulla mappa dei principali siti fossili dei nostri progenitori e farete una scoperta sorprendente: c’è una corrispondenza pressoché totale - al 94% - tra queste aree e quelle dove la natura si presenta aspra e irregolare. Partendo dall’attuale Marocco, si evidenzia così una mezzaluna (molto anteriore a quella «fertile» della Mesopotamia) che si allarga al Kenya e scende fino al Sud Africa, con il nucleo rappresentato dal celebre East African Rift. Non è un caso che la grande depressione dove sono state trovate alcune fondamentali testimonianze degli antenati dei sapiens, come l’Australopithecus afarensis, sia una delle più instabili del pianeta, frutto della separazione tra la placca tettonica africana e quella arabica. Secondo Bailey e King (ricercatori della University of York e dell’Institut de Physique du Globe de Paris), l’evoluzione umana è stata plasmata proprio dai sussulti della crosta terrestre: le sue metamorfosi avrebbero costretto gli ominidi a continui adattamenti e a progressive invenzioni e allo stesso tempo li avrebbe favoriti. Per una specie che non eccelle in forza e tantomeno in velocità i «paesaggi dinamici», periodicamente ricreati da eruzioni vulcaniche e terremoti, si sono infatti rivelati ideali: che cosa c’è di meglio - sostengono Bailey e King - di una topografia segnata da valli e colline, boschi e laghi, fiumi e scogliere per cacciare erbivori, sottrarsi ai predatori, costruire rifugi, trovare habitat sempre differenti, ricchi di piante e animali? Da una natura bifronte - aggressiva eppure benigna - avremmo così ricavato gli stimoli per il boom dei neuroni, mentre nelle savane si replicava (e si replica) all’infinito lo stesso film di vita e di morte. I critici si sono già scatenati, ma non sarà facile smontare una teoria così semplice e convincente. GABRIELE BECCARIA