Marco Carminati, Il Sole 24 Ore 21/11/2010, 21 novembre 2010
TUTTI I RETROSCENA DELLA ZATTERA
Il libro di Jonathan Miles – emozionante, avvincente e in molti tratti sconcertante – narra le incredibili vicende che portarono alla realizzazione di uno dei più grandi capolavori della pittura dell’Ottocento europeo, vale a dire La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, dipinto tra il 1818 e il 1819 e oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Una tela di dimensioni colossali (cinque metri per sette) che venne ispirata all’artista francese dal tragico naufragio della fregata «Medusa» avvenuto davanti alle coste del Senegal il 2 luglio 1816.
Quel disastro navale colpì enormemente l’opinione pubblica francese e provocò un pericoloso scossone all’establishment politico parigino. Il sinistro era stato chiaramente provocato dall’imperizia del comandante della nave, l’altezzoso Hugues Duroy de Chamareys, una sorta di raccomandato di ferro imposto alla guida del vascello dal governo borbonico di Parigi contro ogni regola del buon senso e delle competenze professionali. Inoltre, l’indegno comandante, oltre all’inettitudine, aveva espresso una micidiale vigliaccheria abbandonando al loro destino 150 naufraghi aggrappati a una zattera di fortuna. Il fragile natante rimase in balìa delle onde per tredici giorni, segnati da crudeli episodi di lotta per la sopravvivenza, finché non venne avvistato da un’altra nave. Il bilancio della vicenda fu agghiacciante: solo quindici persone sopravvissero al disastro.
Alcune di loro, una volta tornate a casa, denunciarono a gran voce quanto era loro accaduto facendo nascere un clamoroso caso politico che i liberali francesi cavalcarono alla grande mettendo in piazza l’inefficienza e l’arroganza della restaurazione borbonica. Per parte sua, Théodore Géricault mise a disposizione il suo genio e il suo pennello per redigere il potente "manifesto" della tragedia, raccontando con crudezza l’odissea della zattera e dando vita al concetto figurato di "Francia alla deriva" tanto caro ai liberali del tempo.
L’eroe positivo che attraversa il libro non è però Géricault quanto Alexandre Corréard, l’ingegnere-geografo sopravvissuto alla tragedia della zattera, sopra la quale era voluto salire spontaneamente dopo il naufragio della «Medusa» per non lasciare soli gli operai che gli erano stati assegnati. Fu dai racconti allucinati di Corréard che Géricault trasse la potente ispirazione per il quadro. Ecco come andarono i fatti. Dopo la Restaurazione la Francia era tornata in possesso della colonia africana del Senegal. Fu dunque necessario armare un convoglio di navi per riportare sulle coste africane il governatore francese, i soldati della guarnigione e i coloni con le loro famiglie. Il governo di Luigi XVIII aveva predisposto un buon numero di navi per formare il convoglio destinato al Senegal, e una di queste navi era appunto la fregata «Medusa». Il guaio fu che a capo della nave venne posto un autentico relitto dell’Ancien Régime, il nobile Hugues Duroy de Chamareys, un vecchio e superbo aristocratico che non navigava più da 25 anni, ma che per il semplice fatto di essere stato fedele alla corona dei Borboni per tutta l’età napoleonica, adesso aveva preteso a gran voce una adeguata ricompensa. E la ricompensa fu, ahinoi, proprio il comando della «Medusa». Il viaggio cominciò sotto i peggiori auspici perché a causa della totale imperizia del capitano le altre navi del convoglio vennero subito perse di vista. Poi, invece di dar retta agli esperti ufficiali che pure erano a bordo, per tutta la navigazione il capitano Duroy si affidò ai consigli di un verboso ciarlatano, abile solo nel vezzeggiarlo e nel compiacerlo. Il risultato non si fece attendere: la nave andò a sbattere contro l’unico banco di sabbia affiorante in pieno oceano a numerose miglia di distanza dalla costa africana.
È a questo punto che la tragicommedia di quella navigazione alla cieca si trasforma in tragedia. Tutti comprendono (persino il capitano) che per sopravvivere bisogna abbandonare la nave. Ma le lance a bordo sono solo sei, chiaramente insufficienti per salvare tutti. Si tiene consiglio tra gli ufficiali, e il capitano-trombone opta per una soluzione apparentemente sensata. Ordina che si costruisca una zattera con i resti della «Medusa» per imbarcarvi 150 naufraghi. Naturalmente, il capitano, il governatore della colonia, gli alti ufficiali e coloro i quali erano al corrente dei veri piani di "salvataggio" si affrettano a prendere posto sulle sei lance, caricandole di acqua, vettovaglie e strumenti utili alla navigazione. I patti erano questi: le lance avrebbero legata a sé la zattera mediante robuste funi e con la forza dei remi e del vento l’avrebbero rimorchiata in salvo fin sulla costa africana. Questo fu quanto dichiarò il capitano che, invece, agì diversamente. Non appena gli ufficiali furono tutti al sicuro sulle lance, egli diede il terribile ordine di tagliare le funi. La zattera, con a bordo 150 persone, venne così abbandonata a tradimento alla deriva, senza viveri, senz’acqua, senza strumenti di navigazione. Difficile immaginare una canagliata peggiore.
Nei tredici giorni che seguirono, su quella zattera accaddero fatti difficili persino da raccontare. Ci si uccise per un sorso d’acqua, si mangiarono i morti, si gettarono in mare i moribondi. Géricault venne travolto e stravolto da questo racconto e volle rievocarlo in tutta la sua folle verità. Per questo si fece raccontare infinite volte il naufragio, andò negli obitori a studiare l’orrore delle morte e si fece costruire un modellino della zattera, per averla sotto gli occhi. Voleva che tutti, guardando il suo quadro, provassero l’orrore che aveva provato lui. • DOMANI IN LIBRERIA - «Tusitala» – la nuova collana che Filippo Tuena dirige per la casa editrice Nutrimenti di Roma dedicata soprattutto a diari di esplorazioni e di viaggio, a saggi d’arte e a biografie avventurose – offre ai suoi lettori un nuovo libro d’eccezionale fascino, già salutato come un capolavoro dalla miglior critica anglosassone. Si tratta del saggio La zattera della Medusa di Jonathan Miles (traduzione di Benedetta De Vito con revisione di Filippo Tuena, Roma, Nutrimenti, pagg. 352, € 19,00), che racconta il terribile naufragio della fregata «Medusa» nel 1816 dal quale Théodore Géricault trasse ispirazione per il suo celebre quadro oggi al Louvre. Il volume – in libreria dal 22 novembre – è preceduto da un’introduzione di Marco Carminati dalla quale è tratto l’articolo qui accanto.