Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 21/11/2010, 21 novembre 2010
SALARI DIFFERENZIATI PER GLI OPERAI USA
Nell’ultimo trimestre Ford ha registrato profitti per 1,69 miliardi di dollari, record in 107 anni di storia. General Motors è tornata in borsa con un collocamento da oltre 20 miliardi. E Chrysler, la più piccola delle storiche case di automobili americane, è da tre trimestri in attivo operativo. È presto per lo champagne, ma non c’è dubbio che l’industria automobilistica Usa stia dando segno di poter sopravvivere alla Grande Recessione. E forse di poterne uscire più solida e ricca.
Lo stesso non si può dire per la Uaw, lo storico - e un tempo potentissimo - sindacato dei lavoratori metalmeccanici. Non solo per il calo degli iscritti, ormai 355mila contro il milione e mezzo del 1979, ma per le concessioni che hanno istituito il sistema del doppio standard contrattuale, uno per i dipendenti storici e un altro per i neo-assunti. Il risultato è che oggi a montare i motori di una Cadillac o di una Dodge, uno a fianco all’altra ci sono l’operaio Joe che è lì da anni e guadagna 28 dollari l’ora e l’operaia Jane, appena assunta, che ne guadagna 14. La metà. Quella che finora era un’anomalia sta diventando la norma. Non solo nell’auto, ma in tutto il manifatturiero. Secondo uno studio della Bna, casa editrice di libri di management della Virginia, dal 2006 i nuovi contratti che prevedono il doppio standard si sono sestuplicati.
«Fino a un paio di anni fa era considerata una misura temporanea che i sindacati accettavano per far fronte a una crisi, ma i nuovi contratti la introducono in modo definitivo», spiega Art Weathon, esperto di relazioni sindacali della Cornell University. Lo testimoniano i nuovi contratti alla Harley Davison, alla Mercury Marine (motori per imbarcazioni) e alla Kohler (rubinetteria). Inizialmente i 900 lavoratori della principale fabbrica della Mercury, a Fond du Lac, in Wisconsin, avevano rigettato il contratto a due velocità, ma dopo che il management ha annunciato che avrebbe consolidato la produzione in un’altra fabbrica in Oklahoma, hanno cambiato idea e votato a favore. Il motivo è semplice: anche se molto ridotti, i salari offerti nelle fabbriche rimangono più alti di quelli per posti di lavoro alternativi nei servizi, dove lo stipendio di base varia tra i 7 e i 10 dollari all’ora.
Il sindacato in America non aveva molta scelta. Aveva due opzioni: accettare una ritirata strategica o rischiare una Caporetto. Senza il sistema a due velocità, la delocalizzazione che ha falcidiato le fabbriche Usa avrebbe avuto un’ulteriore accelerazione. «Sindacato e operai hanno visto così tante aziende trasferire la produzione all’estero da capire che lo scontro frontale avrebbe avuto pochissime probabilità di successo», dice David Carter, consulente sindacale di Washington. «Dal dopoguerra, la Uaw e gli altri sindacati hanno trasformato la classe operaia in classe media. Ma quel percorso è diventato insostenibile. E temo che non lo si potrà riprendere», commenta Gary Chaison, professore di relazioni industriali della Clark University. Scegliendo la ritirata, la Uaw ha dato un importante contribuito al salvataggio di Detroit. Ma se le cose continueranno ad andare bene per l’industria, bisognerà vedere cosa farà il suo nuovo presidente, Bob King, eletto a giugno. Un paio di mesi fa, alla Ford di Wayne, in Michigan, ha detto che il suo obiettivo è che «agli operai non si chieda di condividere solo i sacrifici».