Antonio Angeli, Il Tempo pag. 49 23/11/2010, 23 novembre 2010
L’ERA DEI COMPUTER POETI
Fare quattro chiacchiere con il proprio interlocutore, magari bevendo un caffè, parlando del più e del meno o prendendo qualche decisione. Sembra la cosa più naturale del mondo, ma se il «colloquio» avviene con un computer, o magari con un robot, si entra subito nella fantascienza, che ormai è a un passo dalla realtà. I computer parlanti esistono, ma «si sente» che sono computer, la loro voce sintetizzata è innaturale. Ben lontana da quella suadente di Hal 9000, la terribile intelligenza artificiale di «2001: Odissea nello spazio». Prestissimo però le «macchine» parleranno in modo fluente e naturale (e non saranno cattive come Hal o Terminator) grazie ad uno dei massimi poeti della storia: William Shakespeare. Un eterogeneo gruppo di ingegneri ed esperti di lingue della canadese McGill University sta cercando di insegnare ai personal computer le leggi della poesia: metrica, rime e via dicendo. L’obiettivo pratico è rendere finalmente realistici e naturali i sistemi di «lettura vocale», oggi in primo piano grazie anche alla diffusione degli eBook.
«Quando la voce artificiale legge intere frasi - spiega Michael Wagner, ricercatore del dipartimento di Linguistica della McGill - la difficoltà maggiore è far capire al computer quale intonazione usare, a seconda del contesto e del messaggio che si vuole trasmettere». La soluzione migliore sembra essere quella di affidarsi alle leggi della poesia, individuando intonazione, ritmo e durata. Insomma si cerca di insegnare la metrica ai computer. Grazie alla collaborazione con Katherine McCurdy, di Harvard, Wagner sta «pompando» le opere di Shakespeare, ma anche altri classici inglesi e francesi, all’interno di computer. Il risultato? Sintetizzatori vocali che potranno, sperano gli scienziati, parlare con naturalezza. Applicarne poi uno ad un robot di forma umana sarà un passo breve.