Fabrizio Galimberti, Plus24 20/11/2010, 20 novembre 2010
ISLAM E RISULTATI BORSISTICI
In un affascinante articolo sul "Global Economy Journal" due economisti americani della George Washington University, Scheherazade S. Rehman e Hossein Askari si chinano sui rapporti fra religiosità e performance economica (An Economic Islamicity Index - EI2, Vol. 10-2010). E, dato che la religione che in questo momento è sotto gli occhi dei riflettori è quella islamica (scontro di civiltà, assimilazione delle comunità mussulmane nei paesi avanzati, Turchia nella Ue, fondamentalismo e terrorismo...), gli autori si chiedono se è vera la saggezza convenzionale.
Una saggezza che afferma come il livello di sviluppo economico nei paesi islamici (un livello nettamente inferiore a quello dei paesi occidentali) sia da porre in presa diretta con i dettami della religione mussulmana.
Per verificare sul campo questa correlazione i due economisti hanno costruito un Economic Islamicity Index: un indice che trae dal Corano le indicazioni (abbondanti, molto più che nei libri sacri di altre religioni) sui principi che devono guidare l’azione economica, i fini da raggiungere e i mezzi da usare. E queste indicazioni sono abbastanza simili ai principi generalmente accettati di buon governo, con una enfasi più accentuata sull’equità nella distribuzione e una preferenza al capitale di rischio rispetto a quello di debito. Dodici categorie di principi economici islamici si ramificano in numerose sotto-categorie, e sono poi confrontate con 113 diversi indicatori tratti, per tutti i paesi del mondo (208), da banche-dati economiche e sociali.
I risultati sono sorprendenti: i paesi più economicamente islamici sono quelli occidentali (vedi tabella) e in particolare nord-europei. Il ranking medio dei 57 paesi della Conferenza Islamica è un deludente 133. E bisogna arrivare al 33° posto nella classifica per trovare la Malaysia, il meglio piazzato fra i paesi mussulmani (gli Stati Uniti sono al 16° posto!).