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 2010  novembre 23 Martedì calendario

ALMANACCO DI STORIA PATRIA

Si può scrivere un libro che sembra un saggio ed è un thriller, un testo drammatico e a sorpresa che trova la vittima ma non il colpevole e si legge con la nostalgia degli anni di scuola? È ciò che ha fatto Aldo Cazzullo con il suo nuovo libro (“Viva l’Italia, Risorgimento e Resistenza”, prefazione di Francesco De Gregori, Monda-dori) perché è un libro specchio: l’Italia guarda se stessa nei suoi 150 anni di storia. E non si trova. Cosicché questo libro è come il diario di un Cristoforo Colombo che, allo stesso tempo, ha avuto successo e si è perduto. È arrivato, ma dove?
IL RACCONTO sbatte all’inizio con violenza contro uno scoglio, per fortuna poche righe di informazione non rivisitata, nella prefazione tipo “patriottismo condiviso” di Francesco De Gregori. È la citazione dedicata all’uccisione in Iraq di Fabrizio Quattrocchi, italiano arruolato da una organizzazione di guerra privata al servizio di interessi privati (De Gregori scrive benevolmente “contractor” ). Per quel grave fenomeno (la guerra privata dentro la guerra militare e politica) la cultura e la coscienza morale americana non hanno perdonato George Bush. Ed è la ragione per cui Tony Blair ha interrotto la presentazione del suo libro in Inghilterra: troppa indignazione rabbiosa. No, la tragica e triste morte di Quattrocchi in cui l’Italia c’entra solo nel passaporto e in una ultima frase, è un inganno di memoria dovuto a una propaganda che ha portato soldati italiani, privi di protezione e degni di affettuoso ricordo, a morire, Dio sa perché, a Nassiriya , senza alcun rapporto con la storia d’ Italia di cui parlano gli studiosi o “l’interesse nazionale” di cui discutono i politologi. In quella pagina di De Gregori avremmo dovuto trovare il nome di Nicola Calipari. E di colpo si sarebbe visto quanto forte possa ancora essere il legame fra Risorgimento, Primo conflitto mondiale, Resistenza, servizio allo Stato, persino in una guerra di cui non abbiamo mai saputo niente. Per fortuna il viaggio di Cazzullo verso l’Italia che non c’è comincia, impetuoso e nobile, con il generale Perotti e la fucilazione del Martinetto, 1944 a Torino, quasi tutto il vertice della Resistenza piemontese, che però non ha smesso un istante di esistere, di agire, di difendere l’Italia, operai, professionisti, borghesi, ufficiali, esattamente come nelle pagine di eroismo del Risorgimento che a volte, a scuola, ci sembravano un po’ inventate tanto altruistico appariva il patriottismo di quegli italiani. Infatti c’è, nel processo di Torino, un capitano Balbis che chiede di morire al posto del generale Perotti. Nella stessa Italia, in un’altra fucilazione, lo aveva fatto il carabiniere Salvo D’Acquisto. Cazzullo comincia da questo punto il suo esplorare del tutto privo di scetticismo, alla ricerca di luoghi caldi e sicuri dove si è stati e si può essere italiani insieme. Si incontrano (con la scrittura del racconto, che fa il libro immensamente leggibile) re e ministri, notabili e burocrati, personaggi che ormai sono strade e scuole elementari. Ne nasce una sequenza di “avventure del Risorgimento” che hanno fascino per i giovani e precisione per gli storici e per la scuola.
MA È LA RESISTENZA la parte in cui il libro cambia natura e, da almanacco colto e un po’ ironico della storia patria, diventa la rivendicazione di qualcosa di tragico e grande che riguarda la lotta di molti italiani per la libertà nel Paese occupato da un esercito straniero (1943-1945). Riguarda la collaborazione aperta e feroce di una parte degli italiani con gli occupanti che privano il Paese di ogni libertà. Riguarda e la feroce caccia agli ebrei, italiani contro italiani, in sequenze più laceranti di ogni memoria. Quando Cazzullo fa notare l’arbitrio di Giampaolo Pansa, che ha costruito il successo dei suoi libri sulla distruzione del contesto, introduce alla scoperta finale. Infatti da pag. 129, che riproduce il testo de “Il cuoco di Salò” (la canzone non dimenticata di De Gregori) si passa a pag. 131, al capitolo dal titolo che si intitola “ Né Lega né Belpaese”.
È DOCUMENTO di un brutto destino. È appena finito l’elenco degli uomini che sono morti nel modo più tragico, violento e ingiusto per (con) un’idea dell’Italia. Ma il loro valore e la loro passione sono evidentemente giunti a un periodo di scadenza. Sessanta anni dopo si impianta il dominio di un partito locale, profondamente razzista, radicalmente xenofobo che, con il meccanismo del ricatto (che dura ancora mentre scrivo), ha spaccato il Paese e perseguitato i migranti governando da Roma.
DI COLPO ti rendi conto che l’Italia non c’è. Cazzullo trova, alla fine del suo libro, un’amalgama triste di quella zona grigia, né fascista né antifascista, né pro né contro, impegnata solo nel proteggere le proprie cose, descritta per primo da Renzo De Felice. Altrimenti non sarebbero stati lasciati soli, sulla gru di Brescia, isolati, al freddo, con la febbre quattro operai non italiani Rachid, Sajad, Jimi, Arun, per tutti i giorni e le notti che conterete leggendo queste righe. Quaranta metri più in basso li ha sempre aspettati la polizia italiana. Per ordine del ministro dell’Interno della Lega Nord insediato ancora – mentre scrivo, a Roma – devono essere deportati perché hanno perduto il lavoro. Lo hanno perduto perché li hanno sfruttati in nero. Hanno arricchito l’Italia per anni. Ma sono clandestini per legge. Né un prefetto né un vescovo si sono opposti, nonostante finte mediazioni. Nessuno – sotto la gru di Brescia – ha avuto il coraggio di gridare “Viva l’Italia”.