Cristiano Gatti, il Giornale 23/11/2010, pagina 1, 23 novembre 2010
Il bimbo che gioca a calcio per sentenza - Forse, quando sarà il centravanti della Triestina e vincerà la classifica cannonieri, alle domande dei cronisti sportivi darà la risposta più singolare: «Se sono qui, devo dire grazie a chi ha creduto in me e mi ha lanciato nel mondo calcio: il presidente del tribunale»
Il bimbo che gioca a calcio per sentenza - Forse, quando sarà il centravanti della Triestina e vincerà la classifica cannonieri, alle domande dei cronisti sportivi darà la risposta più singolare: «Se sono qui, devo dire grazie a chi ha creduto in me e mi ha lanciato nel mondo calcio: il presidente del tribunale». Succede anche questo, nelle liti matrimoniali. Padre e madre si rinfacciano tutto e non si risparmiano niente. In mezzo, tirati da una parte e dall’altra, i ragazzini che ci capiscono poco. A dieci anni c’è ancora tutto un mondo di cristallo che va maneggiato con cura: la scuola, gli amici, le passioni. Questo piccolo triestino, che il giornale della sua città chiama Walter ribattezzandolo con nome di fantasia, non chiedeva niente di più: di continuare la vita come sempre, nella sua scuola, con i suoi amici, seguendo la sua grande passione, il calcio. Purtroppo, anche se i grandi dicono durante una separazione che i figli devono starne fuori, tutelati e protetti, ad andarci di mezzo sono immancabilmente loro. La mamma di Walter vuole trasferirsi a Pordenone, un altro lavoro e un’altra vita a debita distanza dall’uomo dei suoi fallimenti. Il papà invece resta a Trieste, sperando di poterci tenere anche Walter, che qui è nato, è cresciuto e ha messo radici. Tra i turbini di questa bufera familiare, il ragazzino viene sballottato come foglia al vento. Inizialmente la mamma riesce a portarselo nella casa di Pordenone. Ma poi entra in scena il Tribunale dei minori, chiamato a disinnescare questo materiale ad altissimo contenuto esplosivo. È in gioco il futuro dei figli. Ogni giorno, in ogni parte d’Italia, lo stesso problema si perpetua con modi e sfumature sempre diversi. Già, cosa è davvero meglio per loro, che non possono ancora scegliere? È un dannatissimo compito, per un giudice che davvero voglia esercitare la missione. Il presidente Paolo Sceusa sente tutte le parti. La mamma dice che Walter sta benissimo a Pordenone. Il papà dice che Walter sta benissimo dov’è sempre stato, a Trieste. Lungo questo asse friulano corre il destino di una creatura che non è ancora padrona del proprio destino. Il buon giudice chiama Walter: sa che la sua parola, i suoi sentimenti, i suoi desideri valgono pur qualcosa. Quando viene sentito, il ragazzino esprime un chiaro orientamento: vuole stare a Trieste, nella sua casa, nella sua scuola. Alla fine, la sua opinione è quella che conta. Il Tribunale dei minori decide per Trieste, con il papà. È un primo passo. Poi però subentra il calcio. Walter gioca da tempo nella squadra degli amici, ma la società non può tesserarlo senza il consenso di entrambi i genitori. Ovviamente il papà lo firma subito. Alla mamma, chissà, questa firma sembra l’ultima arma per vincere qualcosa, anche una minuscola battaglia, perché non si dica che il marito ha avuto vita facile su tutto. La firma viene negata. Può giocare a Pordenone, se vuole. Walter però è ancora nella fase sentimentale del pallone, di questo mondo del pallone in cui i grandi non hanno più maglie del cuore e spirito di bandiera, pronti ad andare in due o tre città diverse nella stessa stagione. Walter vuole giocare a Trieste perché lì c’è la sua squadra, il suo allenatore, i suoi compagni. Lo dice chiaramente anche al giudice, in una seconda udienza del laborioso processo. Ancora una volta, il giudice mette al centro il ragazzino: stare con gli amici, sentirsi parte di un gruppo, in un periodo così difficile della sua crescita, questa è presumibilmente la migliore delle strade possibili. Walter giocherà a Trieste, nella sua squadra, per decreto. In attesa che un giorno, quando il tempo avrà affievolito molte pulsioni e smussato molti spigoli, la mamma accetti di lasciarlo lì, dove vuole correre, saltare, tirare, scalciare, sudare, piangere, gioire. Dove ancora riuscirà ad essere bambino spensierato, per novanta minuti almeno. Poi si sa che il calcio non è la soluzione di tutti i problemi. Si sa che Walter, come tutti i figli contesi e divisi, avrebbe bisogno di ben altro. A questa età, dopo una bella sudata e una doccia calda, gli servirebbe l’armonia dentro casa. Ma qui non c’è giudice che possa aiutarlo. Non c’è speranza che una sentenza, come gli ha restituito il pallone, gli ricostruisca una famiglia. Quando un matrimonio arriva in tribunale, è solo per distruggere.