BRUNO QUARANTA, La Stampa 23/11/2010, pagina 41, 23 novembre 2010
“Furtwängler mi ha cambiato la vita” - C’ è un fanciullo di vetro (come non riandare a Ciakovskij), una delicatezza che di fronte allo spartito si trasfigura, dissipando ogni esitazione, nella torinese via Mazzini
“Furtwängler mi ha cambiato la vita” - C’ è un fanciullo di vetro (come non riandare a Ciakovskij), una delicatezza che di fronte allo spartito si trasfigura, dissipando ogni esitazione, nella torinese via Mazzini. Qui vive Giorgio Pestelli, circondato da carissime ombre: Sandro Fuga e Ludovico Lessona, maestri di composizione e di pianoforte al Conservatorio; Alfredo Casella, che nacque nella vicinissima via Cavour; Felice Casorati, quasi dirimpettaio, che nel suo atelier-cenacolo ospitò non pochi «maggiori» musicali, come lo stesso Casella in posa per il pittore di «Silvana Cenni», come Ghedini e Petrassi. Che cosa donare a un professore quale Giorgio Pestelli che, a 72 anni, lasciando l’università non nasconde, e come potrebbe, un po’ di malinconia? Una sentenza di Savinio, debitamente ritoccata: «Che ci importa lasciare la cattedra, ormai noi abbiamo il sapore in bocca dell’immortalità» - «Gli immortali» via via evocati sulle colonne di Tuttolibri , da Beethoven a Stravinskij, da Brahms («ciò che conta non è scoprire, ma riscoprire di nuovo») a Schumann... Docente di Storia della Musica, Pestelli, e critico musicale. «Mi ero laureato con Massimo Mila, una tesi su Domenico Scarlatti». Il suo primo corso? «Ero incaricato alla facoltà di Magistero, 1969-1970. Sul Don Carlos di Verdi, un programma nel solco sicuro di Mila». Già collaborava alla Stampa . «Andrea Della Corte, il critico in cattedra, non voleva scrivere l’articolo subito dopo lo spettacolo. E così toccò a me recensire Guerra e pace di Prokofiev nel 1964. Auspice Mila che aveva fatto il mio nome a Casalegno, nella comune barberia. Fu Giorgio Calcagno, alle due di notte, a passare il pezzo». Verdi. E poi? «Non ho più fatto corsi su Verdi. Altri i miei interessi, la sfera strumentale e pianistica in primis». Torino, d’altronde, è una città wagneriana. «Wagner, ecco, lo considero come il punto di approdo del romanticismo». Tra università e Conservatorio... «Al Conservatorio, ho avuto come maestri Fuga e Lessona. Il pianoforte è un compagno inseparabile, nell’aula di Palazzo Nuovo (insegno al pianoforte) e a casa, dove mi attende un Bösendorfer. Quando Mario Bortolotto lo vide ricordò che il Wozzeck di Alban Berg ha l’impronta di un Bösendorfer. Come non esserne orgogliosi?». Un secolo fa nasceva Mila. È il suo «maggiore»? «Mila mi ha insegnato a camminare. Né nascondo il debito, non lieve, verso Fedele D’Amico e Mario Bortolotto». Mila e la musica. «Conosceva la musica che occorreva per il suo lavoro. I suoi libri, per chi insegna, restano basilari. A cominciare dalla Breve storia della musica ». Più storico o critico della musica? «Mila fu uno storico che, grazie alla sua straordinaria qualità giornalistica, rivelerà una densa vena critica». Mila integralmente laico, mentre lei - le capitò di distinguere - è una figura manzoniana. «Ho sempre cercato un punto d’appoggio fuori del testo, non mi sono mai voluto fermare alla pura lettera, ho avuto come mira gli “approdi in terre sconosciute o poco conosciute” in cui, secondo Getto, consisteva l’originalità di un poeta come il Pulci del Morgante ». Qual è stato il tema dell’ultimo corso universitario? La Messa solenne di Beethoven. Che non ho mai capito bene. Parlarne con i ragazzi mi è servito a chiarire le idee». Quale la costante del suo insegnamento? «Intrecciare la storia della musica (farla colloquiare) con la storia del gusto, della letteratura, dell’arte. Il mio obiettivo non è formare dei musicologi». Il suo Brahms che muove da Hölderlin, Goethe, Schiller. Come si è orientato verso gli «Immortali» delle sette note? «Mi folgorò Furtwängler. Torino, 1951, Teatro Alfieri. Compresi che se avessi fatto qualcosa nella vita, ciò avrebbe riguardato la musica, e ne sarei stato felice». Un suo traguardo sarà (’82-’86) la direzione artistica dell’Orchestra sinfonica e del Coro della Rai di Torino. «Una stagione di energie nuove. Maturò allora l’amicizia con il Maestro Giuseppe Sinopoli, quando a credergli non erano in molti». Il suo albero genealogico, così gemmato... «Nonna Carola Prosperi, “promossa” come scrittrice da De Amicis, e amica di Gozzano. Il marito Gino Pestelli, condirettore della Stampa al tempo di Frassati, suo il titolo dopo il delitto Matteotti “Il cuore del popolo a Matteotti”, che gli valse l’ostracismo del regime e l’opportunità di creare l’ufficio pubbliche relazioni della Fiat. Mio padre Leo, il linguista di Parlare italiano . Il prozio musicista Luigi Perracchio, maestro di Fuga». Quale il primo impegno critico, accomiatatosi dall’università? «La prima della Scala. In cartellone La valchiria di Wagner».