GAY TALESE, La Stampa 23/11/2010, pagina 41, 23 novembre 2010
Non si fa l’amore se Sinatra ha il raffreddore - Un bicchiere di bourbon in una mano e una sigaretta nell’altra, Frank Sinatra stava in piedi in un angolo buio del bar fra due bionde belle ma appena un po’ sfiorite che aspettavano solo che lui dicesse qualcosa
Non si fa l’amore se Sinatra ha il raffreddore - Un bicchiere di bourbon in una mano e una sigaretta nell’altra, Frank Sinatra stava in piedi in un angolo buio del bar fra due bionde belle ma appena un po’ sfiorite che aspettavano solo che lui dicesse qualcosa. Frank però taceva; era rimasto in silenzio per gran parte della serata e lì, in quel club privato di Beverly Hills, sembrava ancora più distante mentre fissava lo sguardo, tra il fumo e la penombra, in una grande sala oltre il bar dove dozzine di giovani coppie si pigiavano intorno ai tavolini o si dimenavano in mezzo alla pista al frastuono assordante della musica folk-rock che usciva a tutto volume dagli altoparlanti. Le due bionde sapevano, come sapevano i quattro amici di Sinatra che si trovavano lì vicino, che non era mai una buona idea costringerlo a far conversazione quando era di quell’umore cupo e silenzioso, un umore piuttosto frequente in quella prima settimana di novembre, un mese prima del suo cinquantesimo compleanno. Sinatra aveva lavorato in un film che adesso non gli piaceva più e che non vedeva l’ora di finire; era stufo del polverone mediatico suscitato dal suo rapporto con la ventenne Mia Farrow, che quella notte non si vedeva in circolazione; era arrabbiato perché gli avevano riferito che un documentario della Cbs su di lui, in onda entro due settimane, conteneva indiscrezioni sulla sua vita privata e avanzava perfino ipotesi su suoi presunti rapporti d’amicizia con boss della mafia; era preoccupato per la sua partecipazione a uno show della Nbc intitolato Sinatra – A Man and His Music , nel quale, come star protagonista, avrebbe dovuto cantare diciotto canzoni con una voce che in quel particolare momento, a poche sere dall’inizio della registrazione, era fievole, debilitata e inaffidabile. Sinatra era malato. Era vittima di un disturbo così comune da essere per molti trascurabile. Ma quando affliggeva Sinatra, quell’indisposizione poteva precipitarlo in uno stato d’angoscia, di depressione profonda, panico e perfino rabbia. Frank Sinatra aveva il raffreddore. Sinatra col raffreddore è come un Picasso senza colori, come una Ferrari senza benzina, solo molto peggio. Perché un volgare raffreddore deruba Sinatra di quel gioiello non assicurabile, la sua voce, minando alla base la fiducia del cantante in se stesso e non colpisce solo la sua psiche, ma sembra provocare una sorta di gocciolamento di naso psicosomatico anche in chi lavora per lui, beve con lui, lo ama e dipende da lui per il proprio benessere e la propria sicurezza. Un Sinatra col raffreddore può, nel suo piccolo, emettere vibrazioni che investono l’industria dello spettacolo e si spingono anche oltre, così come un’improvvisa malattia del presidente degli Stati Uniti può destabilizzare l’economia nazionale. Già, perché in quel momento Frank Sinatra era coinvolto in un gran numero di attività che riguardavano molte persone: la sua compagnia cinematografica, la sua casa discografica, le sue linee aeree private, la sua fabbrica di componenti per missili, le sue società immobiliari sparse in tutto il paese, il suo staff personale di settantacinque persone... e questa non era che una parte del suo potere. Sembrava che in quella fase egli incarnasse il maschio pienamente emancipato, forse l’unico in America, l’uomo che può fare tutto ciò che vuole, proprio tutto, e può farlo grazie al denaro, a una grande energia e senza nessun rimorso apparente. In un’epoca in cui i giovanissimi – che protestano, picchettano e chiedono un cambiamento – sembrano prendere il sopravvento, Frank Sinatra sopravvive come fenomeno nazionale, uno dei pochi prodotti anteguerra che resiste alla prova del tempo. È il campione che ha fatto il grande rientro, l’uomo che aveva tutto, ha perso tutto e poi se l’è ripreso, senza lasciarsi fermare da nessun ostacolo, facendo ciò che pochi uomini sanno fare. Aveva sradicato la propria vita, abbandonato la famiglia, spezzato i legami con qualsiasi cosa la riguardasse, apprendendo così che l’unico modo per tenersi una donna è non tenersela affatto. Adesso ha l’affetto di Nancy, di Ava, di Mia – il raffinato prodotto di tre generazioni di donne –, i figli lo adorano, gode della la libertà di uno scapolo, non si sente vecchio e fa sì che i vecchi si sentano giovani e pensino: se l’ha fatto Frank Sinatra, allora si può fare. Non che loro ne sarebbero mai in grado, ma comunque è bello per gli altri uomini sapere, a cinquant’anni, che «si può fare». Ma lì, in quel bar di Beverly Hills, Sinatra aveva il raffreddore e continuava a bere in silenzio, e sembrava a chilometri di distanza, in un suo mondo privato; non reagì neppure quando lo stereo nell’altra stanza passò a una canzone di Sinatra, In the Wee Small Hours of the Morning . Era una ballata deliziosa che aveva registrato per la prima volta dieci anni addietro, e in quel momento stava ispirando molte giovani coppie che, stanche di dimenarsi, si erano sedute, a rialzarsi e muoversi lentamente intorno alla pista da ballo, tenendosi strette. L’intonazione di Sinatra, la dizione nitida eppure piena e fluente, conferiva un significato più profondo ai semplici versi: «In the wee small hours of the morning / while the whole wide world is fast asleep / you lay awake, and think about the girl...».(Nelle ore piccole della mattina/mentre il mondo intero dorme profondamente/sei sveglio e pensi alla ragazza..).Era, come molti dei suoi classici, una canzone che evocava solitudine e sensualità; mischiata alle luci smorzate, all’alcol, alla nicotina e ai desideri delle ore piccole diventava una sorta di afrodisiaco diffuso nell’aria. Indubbiamente le parole di quella canzone, come altre simili, avevano creato l’atmosfera giusta per milioni di persone; era la musica per fare l’amore, e indubbiamente molto amore era stato fatto con il suo accompagnamento in tutta l’America, di notte, in macchina, mentre la batteria si esauriva, nelle villette al lago, sulle spiagge nelle profumate notti estive, nei parchi appartati e negli attici esclusivi e nelle camere ammobiliate; nei cabinati, nei taxi e nei capanni... Dovunque arrivassero le canzoni di Sinatra, erano quelle parole a riscaldare le donne, a corteggiarle e a vincere la loro resistenza, a tagliare l’ultimo filo di inibizione e a gratificare l’ego maschile di amanti ingrati; due generazioni di uomini si erano giovati di queste ballate e sarebbero state eternamente in debito con lui: ecco perché, forse, l’avrebbero odiato in eterno. E ciononostante eccolo lì, l’uomo in persona, nelle prime ore del mattino a Beverly Hills, irraggiungibile.(...)