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 2010  novembre 23 Martedì calendario

Le firme contro Saviano e quelle contro mio padre - Caro direttore, da qualche giorno il Giornale ha iniziato una raccolta di firme contro Roberto Saviano

Le firme contro Saviano e quelle contro mio padre - Caro direttore, da qualche giorno il Giornale ha iniziato una raccolta di firme contro Roberto Saviano. Le dirò che, pur avendo molto apprezzato Gomorra , che ho letto come una scoperta e considero una straordinaria e agghiacciante testimonianza di come funziona un vero sistema criminale, ultimamente provavo un certo fastidio nel tono ieratico con il quale il giovane scrittore si rivolge al pubblico. Un tono inutilmente affettato, retorico, quando scrive; addirittura profetico quando parla. Ma quando ho visto la raccolta di firme, ho detto no, questo non si può. Un conto è la raccolta di firme contro Fini perché è un uomo pubblico, un politico, un rappresentante di tutti. È giusto che renda conto al popolo delle sue opinioni e dei suoi atti, è giusto che sfrutti o subisca un’iniziativa politica come una raccolta di firme. Ma uno scrittore? Non mi sembra giusto. Peggio, mi sembra un’operazione classica da vecchi comunisti di denuncia del nemico del popolo. Succedeva nella Russia di Stalin, o nella Cina della rivoluzione culturale. Ho poi visto che il Secolo d’Italia , citato dallo stesso Giornale , ha paragonato questa iniziativa a quella degli intellettuali di sinistra contro suo padre, nel ’71: la famigerata raccolta di firme contro il commissario Calabresi. Direttore, mi spiace richiamarla a quel doloroso ricordo, ma lei cosa pensa di quel paragone? E cosa pensa della raccolta di firme contro Saviano? Lettera firmata Quasi quarant’anni fa il settimanale l’Espresso decise di pubblicare un appello in cui definiva mio padre «commissario torturatore» e lo incolpava della morte dell’anarchico Pinelli. La campagna fu sottoscritta prima da decine, poi da centinaia di intellettuali: in calce a quel testo accusatorio apparvero le firme di scrittori, registi, attori, filosofi, pittori. In quegli stessi giorni di baldanzosa raccolta di firme, mani anonime tracciavano con la vernice rossa scritte di minaccia sui muri sotto la casa dei miei genitori o scrivevano lettere anonime, che mio padre faceva sparire dalla cassetta della posta per non far preoccupare mia madre. Le firme degli intellettuali arrivarono quasi a quota 800, la campagna contro di lui decollò, i mesi successivi furono un calvario di paura e isolamento, finché due colpi di pistola, uno alla schiena e uno alla testa misero fine alla vita di mio padre. Non ho mai pensato, come alcuni sostengono, che quegli 800 intellettuali siano da considerarsi i mandanti dell’omicidio, ma sono convinto che abbiano la colpa di aver nobilitato i deliri e le accuse più violente e di aver creato il clima giusto per «fare giustizia». Anche per questo motivo sono allergico alle raccolte di firme, di qualunque colore esse siano e qualunque motivazione abbiano, così non ho mai messo il mio nome sotto qualcosa che non fosse stato scritto da me. Come vede le due raccolte di firme hanno toni e obiettivi assolutamente non paragonabili, ma ciò non toglie che da cinque giorni assisto con sgomento all’iniziativa del Giornale contro Roberto Saviano. Non voglio entrare qui nel merito di quello che ha detto perché non cambia il senso della questione, che è quello di mettere all’indice una persona per il suo pensiero. Ma come si può chiedere ai propri lettori di firmare «contro» uno scrittore che oltretutto vive sotto scorta per le minacce di morte ricevute? Certo, vivere in una condizione di pericolo non può essere considerato uno scudo contro le critiche, che sono il sale della democrazia, e in un Paese sano non esistono oracoli intoccabili. Ma sollecitare la firma «contro» qualcuno - come gridava il titolo del quotidiano milanese - è un salto di qualità che rischia di accendere le peggiori pulsioni. Fortunatamente Roberto Saviano non è solo e isolato come successe a mio padre, ha tanti cittadini che lo sostengono e un bel gruppo di carabinieri che lo protegge, però una cosa lega le due storie che ho raccontato: l’idea che si possa delegittimare qualcuno al punto da chiedere agli italiani di metterlo all’indice. Un costume che speravo fosse scomparso. Mario Calabresi