Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 23/11/2010, 23 novembre 2010
NELL’ITALIA LETTERARIA DOVE IL SUD NON C’E’
Per capire una letteratura non basta saper leggere, bisogna pure saper contare». È quanto ci dicono Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà in quell’opera monumentale che è l’Atlante della letteratura italiana, di cui Einaudi ha appena pubblicato il primo di tre volumi. Dopo aver letto Camillo Langone sul Foglio della scorsa settimana, si faceva fatica ad aprire quel librone: noioso di qua, noiosissimo di là… E disonesto: la quarta di copertina (troppo marketing) e l’introduzione (perché scritta a quattro mani: poveri Fruttero & Lucentini!). Insomma, sconsigliabile. E invece, udite udite, è un volumone divertente oltre che istruttivo, si legge volentieri, saltabeccando avanti e indietro, e andando a spulciare notizie tra cronologie e geografie. Perché l’Atlante è l’incrocio tra le due dimensioni, lo spazio e il tempo. Si dirà, come dice Langone: niente di nuovo. Ma qui la novità è nel proposito di dare una dimensione visiva ai vari snodi storici. Ci sono saggi (scritti) che prendono spunto (a volte forzatamente) da un evento databile e ci sono saggi (cartografici) che illustrano perfettamente il valore numerico e/o spaziale di un fenomeno di lungo respiro.
Provate a scorrere le cartine dell’Italia. Quel che emerge in modo lampante è che sin dal Medioevo il Sud rimane tagliato fuori dal resto della Penisola. Molte delle mappe dello Stivale si fermano a Napoli o poco sotto. Qualche esempio. Non si trovano, fino al ’400, università più a sud di Salerno. Delle «tre corone», il solo Dante (nel 1294) si spinge a Napoli per un’ambasciata. Nessuno va oltre. Fra XII e XVI secolo soltanto tre papi si sono formati a Napoli, tutti gli altri più a Nord (15 a Bologna, 10 a Parigi). Nell’Italia illustrata di Flavio Biondo (1474), gli uomini di lettere sono concentrati, senza eccezione, dalla Toscana in su. Un gran letterato come Leonardo Bruni non ha mai dedicato un suo libro a personalità che risiedessero sotto Roma, esattamente come Leon Battista Alberti. Non c’è nessun corrispondente meridionale di Erasmo, che pure ha contatti in tutta Europa. Le tipografie nel ’400 sono addensate al Centro-Nord. Idem i docenti umanisti (a eccezione del messinese Costantino Lascaris). È interessante notare (come fa Silvia De Laude) che quando, nel maggio 1232 a Pordenone, Federico II incontra Alberico da Romano, la poesia siciliana era già formata da quasi un decennio, smentendo così l’ipotesi che l’imperatore, tornato a Palermo, avesse portato con sé un’antologia di rime provenzali che sarebbe stata il modello per la Scuola siciliana.
Dunque, il Mezzogiorno era partito bene, ma in realtà dalla cerchia di Federico II non viene fuori altro: tant’è che il primo capitolo del volume è dedicato a Padova. Quel che ci dice l’Atlante è che il Meridione d’Italia sul piano culturale non è quasi mai esistito per nessuno, spesso neanche per francescani e domenicani. Vedere nella centralità di Napoli per il Sud una tendenza più europea che italiana (tipicamente policentrica) è una visione forse un po’ ottimistica. Come sperare che nei prossimi volumi la presenza meridionale migliori.
Paolo Di Stefano