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 2010  novembre 23 Martedì calendario

CHE COSA È IL « CONCORSO ESTERNO » E PERCHÉ SE NE PARLA TANTO MALE

Con il deposito della sentenza di condanna in appello del senatore Dell’Utri è tornato ad affiorare il classico argomento polemico secondo cui il «concorso esterno» nel delitto di associazione mafiosa non esisterebbe, ma sarebbe un «reato inventato dai giudici».
Chi si esprime così (talora orecchiando vecchi slogan del tradizionale vocabolario mafioso) spesso non sa cosa dice. O, quanto meno, non sa leggere il codice penale. È vero, infatti, che nel codice non si trova un articolo dedicato al suddetto «concorso esterno». Tuttavia è altrettanto vero che, insieme alla previsione specifica del delitto di associazione mafiosa, esiste la previsione generale che sancisce la punibilità di tutte le persone che «concorrono nel medesimo reato». Basta dunque combinare tra loro le due disposizioni per desumerne che — nel caso dei delitti associativi, anche di stampo mafioso — accanto al «concorso necessario», tipico dei soggetti «interni» alla struttura della organizzazione criminosa, può esistere anche la figura del «concorso esterno», o «eventuale», da parte di persone estranee alla stessa struttura.
È questo, in sintesi, lo schema logico che ha trovato ripetute applicazioni nella giurisprudenza della Corte di cassazione a Sezioni unite. Nel senso che deve rispondere di «concorso esterno» nell’associazione mafiosa anche il soggetto che, pur non essendo affiliato alla mafia, tuttavia le «fornisce un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario», sempreché tale contributo abbia «un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento» dell’associazione medesima. Spetterà poi ai giudici valutare la natura e la consistenza dei «contributi» di volta in volta accertati (ad esempio condotte di fiancheggiamento organizzativo delle strutture mafiose, ovvero condotte di agevolazione delle stesse nel procacciamento di appalti, licenze, finanziamenti, posti di lavoro ed altri vantaggi). Ma questa, evidentemente, è una questione da risolversi all’interno di ogni singolo processo. Come è accaduto nel nostro caso, con riferimento alle attività addebitate in sentenza a Dell’Utri, in quanto espressione di un «consapevole e valido contributo al consolidamento del sodalizio mafioso».
Vittorio Grevi