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 2010  novembre 23 Martedì calendario

SULL’ASTEROIDE MINERALI SCONOSCIUTI - «È

una prima mondiale e un grande risultato scientifico la cattura e il trasporto sulla Terra dei primi campioni di un altro corpo celeste che non sia la Luna». Yoshiaki Takagi, ministro della Ricerca giapponese ha annunciato lui stesso l’impresa compiuta dall’agenzia spaziale nipponica Jaxa. La capsula che la sonda Hayabusa aveva lasciato cadere in Australia nel giugno scorso conteneva davvero i primi frammenti di un asteroide.
Sono occorsi mesi di indagine per stabilire che i 1.500 granelli di dieci millesimi di millimetro ciascuno sigillati nel contenitore fossero di Itokawa, un corpo celeste simile ad un fagiolo della dimensione di quasi seicento metri. «Sono piccoli pezzi ma preziosissimi e sufficienti — sottolinea Junichiro Kawaguchi, direttore della missione — perché consentono di studiare in laboratorio la natura di un pianetino. E con emozione abbiamo già scoperto alcuni minerali che non esistono sul nostro pianeta».
La missione Hayabusa partita nel maggio 2003 ha rappresentato una sfida astronautica che si è tradotta in una complicatissima avventura il cui risultato non è stato certo sino all’analisi dei campioni. Prima di tutto perché la sonda sperimentava tecnologie innovative e le due più importanti erano un motore ionico per la prima volta collaudato in un volo così lungo e poi il sistema di navigazione automatica. Quando il veicolo nipponico arrivava nel settembre 2005 in prossimità dell’asteroide, essendo troppo piccolo non esprimeva una forza di gravità tale da consentire l’inserimento in orbita attorno ad esso. Così Hayabusa doveva regolare la velocità per volargli accanto compiendo autonomamente ardue manovre a 300 milioni di chilometri dalla Terra.
Per tre volte si abbassava toccando brevemente il suolo mentre nella quarta rimaneva appoggiata per una trentina di minuti. Nei vari contatti scendeva dal robot un braccio con una sorta di spatola che raschiava la superficie raccogliendo frammenti. Nascevano allora i guai. Al centro di controllo giungevano segnali di cattivo funzionamento del braccio tanto che gli scienziati non riuscivano a capire se l’operazione fosse riuscita. Quando poi la sonda ripartiva, per un guaio al propulsore che sprecava la quasi totalità del propellente, sembrava che la missione fosse fallita. Invece a Tokyo studiavano un’orbita che la riportava a casa sia pure in un tempo pi ù lungo: tre anni. Così acciaccata, Hayabusa giungeva in vista della Terra e prima di disintegrarsi nell’atmosfera lasciava cadere nel deserto australiano di Woomera il prezioso carico.
Gli astronomi nipponici avevano scelto di studiare l’asteroide Itokawa scoperto nel 1998 dall’osservatorio americano di Socorro nel New Mexico nell’ambito del progetto americano Linear, perché è uno dei circa 1.100 pianetini che si avvicinano pericolosamente alla Terra. Il 6 marzo 2030 passerà a 56 milioni di chilometri dal nostro pianeta e non creerà problemi ma l’evoluzione della sua orbita, secondo i calcoli, lo porterebbe a caderci addosso entro un milione di anni.
Per affrontare il rischio asteroidi bisogna conoscerne la natura dal momento che non sono tutti uguali. Itokawa è un agglomerato di materiali (silicati di ferro, nickel e magnesio) poco compatti e frutto della fusione di due asteroidi di taglia minore. Le analisi hanno adesso trovato degli elementi (plagioclasio e olivina) in forme diverse da quelle terrestri e il minerale troilite (un solfuro di ferro) mai rinvenuto sul nostro pianeta.
Lo studio dei minuscoli corpi, oltre che per immaginare una difesa, è per gli astronomi fondamentale al fine di capire le condizioni iniziali del nostro sistema solare e comprenderne l’evoluzione. I loro costituenti, infatti, sono rimasti com’erano nell’epoca in cui i pianeti incominciavano a coagularsi uscendo dalla nebulosa primordiale. Per questo la Jaxa sta già lavorando alla missione Hayabusa-2 da lanciare nel 2014 capace di catturare una quantità ancora maggiore di quei piccoli mondi dove sono scritte le origini.
Giovanni Caprara