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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

MEDIA. L’EVANGELISTA DELLA TERZA DIMENSIONE

La sua ultima creazione a tre dimensioni, Megamind è numero uno al botteghino. In tre settimane ha incassato oltre 92 milioni di dollari, confermando la sua tesi che non solo il 3D non è morto (come sostiene qualche critico) ma, se realizzato bene, è il futuro di Hollywood.
Jeffrey Katzenberg, il boss della casa produttrice DreamWorks Animation, nata dieci anni fa da una costola dell’originaria «squadra dei sogni» — la DreamWorks di Steven Spielberg, David Geffen e lo stesso Katzenberg — ne è così convinto che si è guadagnato il soprannome «l’Evangelista del 3D».
I primi passi
La sua rivelazione l’aveva avuta nel 2004, l’anno in cui DWA si è quotata in Borsa, ma soprattutto in cui Katzenberg, guardando il film The
Polar Express , ha capito che il futuro dell’industria cinematografica era nel 3D. All’epoca la tecnologia era ancora carente. Ma da allora Katzenberg è diventato un instancabile promotore del suo sviluppo per diffonderla a livello di massa, coinvolgendo produttori, registi, distributori, convinto che si tratta della maggior innovazione dello show-business da decenni.
Quest’anno la sua visione ha cominciato a diventare realtà. Avatar di James Cameron (prodotto da Fox) ha fatto un record di incassi con 2,8 miliardi di dollari, anche grazie al prezzo maggiorato del biglietto (3,25-3,5 dollari o 3 euro extra). Stanno aumentando le sale attrezzate per la visione tridimensionale e quindi il fatturato delle pellicole 3D (20% degli 8 miliardi di dollari incassati negli Usa nei primi dieci mesi). E sta nascendo anche un’industria parallela di accessori, come gli occhiali 3D disegnati da Gucci e Oakley (gruppo Luxottica).
Katzenberg giura che fra poco anche i telefonini avranno un display tridimensionale, oltre agli schermi dei televisori e ai cartelloni pubblicitari. Teme solo che per la fretta di non perdere il treno Hollywood butti sul mercato prodotti scadenti, cioè film girati nelle tradizionali due dimensioni e poi convertiti al 3D, con l’effetto di alienare il pubblico come è successo per Clash of the Ti
tans , il film di Warner Bros lanciato in aprile, scatenando un coro di critiche.
Il successo del 3D è vitale in particolare per la Dwa che vive solo di cartoni animati e ne produce pochi, due o tre al massimo per anno.
A differenza dei grandi studios che con tanti film possono compensare i flop con i successi, Katzenberg dev’essere concentratissimo a evitare gli insuccessi che mettono a rischio l’indipendenza della sua piccola azienda, oltre che il suo salario (1 dollaro l’anno nominale, il resto tutto legato all’andamento in Borsa).
Nei mesi scorsi erano circolate speculazioni su Comcast che, dopo aver comprato Nbc Universal, avrebbe potuto acquisire anche Dwa tenendo al suo timone Katzenberg che, sempre secondo le voci di Hollywood, sarebbe stufo di essere un pesce piccolo in mezzo alle balene.
Ma lui ha liquidato i rumor dicendo di essere felice del suo lavoro e di aver già
fatto quell’esperienza.
La storia
La sua carriera a Hollywood risale al 1975 quando entrò negli uffici Paramount di New York, la sua città natale, passando poi a Los Angeles. Aveva 25 anni e nessuna preparazione specifica, avendo lasciato la New York University per lavorare in politica con i Democratici, la sua altra grande passione. Ma aveva un gran fiuto per i progetti di film promettenti, tanto che il suo capo Michael Eisner lo chiamava il suo «Golden Retriever» (cane da riporto). Quando Eisner passò alla Disney nell’84, volle con sé Katzenberg, affidandogli il compito di resuscitare la produzione di cartoni animati che languiva da 30 anni. Sfornò successi come La Sire
( 1989) e Il re Leone (1994) fino a quando il suo ego entrò in conflitto diretto con quello altrettanto enorme di Eisner, che lo costrinse alle dimissioni nel ’94.
Fu allora che convinse i suoi amici Spielberg e Geffen a creare DreamWorks, «un’idea piuttosto pazza, visto che nessuno aveva fondato uno studio cinematografico da 65 anni con successo — ha raccontato Katzenberg a Details.com —. Ma io ho uno spirito ambizioso e imprenditoriale fin dalla più tenera età. Da bambino quando nevicava offrivo ai negozianti del mio quartiere, l’Upper East Side, di spazzare i loro marciapiedi per 25 centesimi. Il mio primo capo alla Paramount, Barry Diller, mi ha insegnato che devi poter fallire per avere successo. E i più grandi successi vengono facendo cose originali e quindi rischiose».
Ora Katzenberg è impegnato nella campagna per gli Oscar, sperando che il suo
Dragon trainer (ottavo negli incassi Usa 2010, con 217 milioni di dollari) riceva la nomination come miglior cartone animato. È il suo primo film con un adolescente protagonista e secondo lui rappresenta bene la sua filosofia: «per gli adulti e l’adulto che esiste in ogni bambino», che è il motto di Disney rovesciato, adatto a un mondo dove i bambini perdono presto la loro innocenza.
Maria Teresa Cometto