Massimo Mucchetti, CorrierEconomia 22/10/2010, 22 ottobre 2010
INPS. CHI PAGA IL CONTO DELLA CRISI
Il primo dicembre, nella sede romana del Cnel, l’Inps presenterà il bilancio sociale 2009, ma sul rito, che verrà concluso dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, aleggeranno i conti veri: il dare e l’avere del 2010 e il preventivo 2011, ormai licenziati dal presidente Antonio Mastrapasqua. E tra i conti spiccherà il bilancio delle cartolarizzazioni dei crediti contributivi varate dall’Inps tra il 1999 e il 2003 per ben 70 miliardi di euro.
Doppia incognita
I conti presentano una doppia incognita. La prima è la scadenza, il 31 luglio 2011, delle ultime obbligazioni con cui le società veicolo del Tesoro avevano pagato, al valore di mercato, i crediti loro ceduti pro solvendo dall’Inps. Storicamente, in media, questo prezzo è stato pari a un quarto del valore nominale dei crediti medesimi. Ai detentori delle obbligazioni restano da rimborsare circa 1,6 miliardi, che l’Inps ha già in cassa.
Ma l’ultimo rimborso non conclude la partita. Finché non decadono di diritto, l’Inps non cancella i crediti contributivi residui, alla cui riscossione resta deputata Equitalia. Si limita a integrare il fondo di svalutazione che, per i cartolarizzati, è arrivato a 19,7 miliardi, pari a due terzi di questo «comparto».
Ma qual è la reale qualità di questi crediti cartolarizzati, ma non ancora riscossi? Equitalia potrà fare miracoli, ma per la loro vetustà è lecito supporla molto bassa. E dunque, rimborsata l’ultima obbligazione, resta a gravare sullo stato patrimoniale la differenza tra il fondo e i crediti quasi inesigibili, un macigno contabile da 10-11 miliardi.
Rischio patrimoniale
La soluzione? L’Inps ha un patrimonio netto di 39 miliardi. Sulla carta potrebbe reggere la botta. Ma l’effetto ottico sarebbe clamoroso. E’ più probabile che si facciano ulteriori accantonamenti al fondo svalutazioni così da smaltire il carico nel tempo. L’entità di tali accantonamenti dipende da come andranno i conti reali. Ovvero da quanto morderà ancora la crisi e da quanto potrà venire dal contrasto all’evasione contributiva nel quale l’Inps è impegnata con Equitalia. È un dato, questo, da non trascurare a dispetto di quanti dubitano che nel Belpaese si possa fare qualcosa di bello. E però le incognite restano.
Minori certezze
Crisi vuol dire meno lavoratori dipendenti, meno lavoro autonomo e più cassa integrazione, più indennità di disoccupazione e mobilità, e anche più difficoltà a tagliare gli sprechi nelle pensioni di invalidità che, con i 3-400 euro, rappresentano non di rado il succedaneo clientelare di forme più razionali di assistenza sociale. Già nel 2009 il flusso dei contributi aveva rallentato e l’Inps aveva chiuso ancora in utile, sia pur dimezzato da 6 a 3 miliardi, grazie a una manovra sui residui passivi. Nel 2010 gli incassi da contributi sono diminuiti dell’1,6% e gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti (correnti e cartolarizzati) sono saliti rispetto al preventivato. Di qui il capovolgimento delle ipotesi di bilancio: da un utile di 2,9 miliardi il 2010 passa a un deficit ora previsto in 3,8 miliardi.
L’aumento dei trasferimenti dello Stato dagli 84 miliardi messi a budget a 89 è servito a coprire i maggiori esborsi per la cassa integrazione straordinaria, per quella in deroga e per le indennità di disoccupazione. E l’anno prossimo si dovrà ricominciare.
L’altra incognita dunque è la crisi. Per il 2011, l’Inps si attende entrate contributive in aumento del 3,9%, da 145 a 151 miliardi, grazie sia alla propria «produzione» sia all’incorporazione dell’Ipost, il fondo dei postelegrafonici (che tuttavia comporta uscite leggermente superiori). In leggero incremento (1,8%) anche i trasferimenti dello Stato calcolati sulla base della Ruef. Con la legge di stabilità, che prenderà atto del peggioramento delle aspettative ( il Pil crescerà meno dell’1,5% ipotizzato a maggio) potranno esserci variazioni. Già ora comunque, sulla base dell’esperienza, è possibile accennare alle criticità dell’anno prossimo.
Accantonare di più
Probabilmente, nell’assestamento estivo dei conti, si rivelerà necessario un accantonamento al fondo svalutazione crediti superiore agli 810 milioni ora immaginati, e questo a valere sui vecchi crediti cartolarizzati come sugli altri. Ceteris paribus l’effetto sarebbe quello di trasformare l’utile, ora previsto in 365 milioni, in una nuova perdita economica, mentre potrebbe reggere l’avanzo finanziario stimato in 1,2 miliardi.
Il contrasto all’evasione potrebbe attenuare l’impatto. Aiuterebbe anche la lotta agli sprechi nel settore delle invalidità civili, peraltro finanziato dalla fiscalità generale. Poco invece può venire dalle riduzioni del personale dell’Inps che in 8 anni è già sceso da 34 a 28 mila addetti e che, comunque, rischia addirittura di diventare un boomerang ove si consideri che, mentre per le aziende private mandare in pensione i dipendenti in eccesso costituisce un vero risparmio, nella pubblica amministrazione l’effetto consolidato è minore perché ai salari (che versano contributi previdenziali) si sostituiscono pensioni (che non li versano più e che sono pagate sempre dall’Inps).
Salvagente estero
D’altra parte, nel lungo termine verrà meno il salvagente degli immigrati. Come avverte la Corte dei Conti nel rapporto sul 2009, risultano iscritti all’Inps un milione e 569 mila extracomunitari, che versano 6,3 miliardi, il 5% del monte contributivo globale. Dagli immigrati l’Italia ricava un contributo al Pil di 134 miliardi l’anno: non può rinunciarvi. E l’Inps per parecchi anni ancora avrà il clamoroso vantaggio — analogo a quello portato dai precari — di avere robusti incassi contributivi e pochissime pensioni da pagare, data la bassa età media di questi contribuenti. Ma al dunque pagare dovrà. E molti di questi lavoratori, specialmente colf e badanti per cui i contributi sono ridotti al 17%, la metà del normale, avranno pensioni da fame e finiranno a carico della sicurezza sociale.
A questo punto la domanda cruciale è una sola: per quanto tempo l’Inps potrà reggere? Il patrimonio netto è rilevante, non infinito. A regime, il passaggio al regime contributivo, che paga pensioni in base al versato, metterà in sicurezza i conti della previdenza pubblica. Ma la transizione è graduale, com’è giusto trattandosi della vita delle persone e del fluire delle generazioni. Già oggi, la miseria di molte pensioni rende necessari sostegni a carico della fiscalità generale. Domani di più. Se la crisi morde troppo a lungo, si aprono problemi che vanno oltre le casse dell’Inps e che si risolvono solo alzando prima del previsto l’età media reale di pensionamento, oggi attorno ai 61 anni.
Massimo Mucchetti