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 2010  novembre 21 Domenica calendario

2 PEZZI + DIDA - TRA MISERIA E NOBILTÀ COSÌ SI RIDEVA A NAPOLI

-Non è affatto casuale che sia stata proprio una canzone umoristica a inaugurare la storia della discografia italiana. È vero infatti che la prima canzone italiana documentata, incisa su un supporto di vinile, vada attribuita a tale Bernardo (o Berardo, secondo alcuni) Cantalamessa. La sua incisione fu la famosa ‘A risa, ma questo Cantalamessa, piuttosto celebre ai suoi tempi, va anche considerato uno tra i primi macchiettisti di grande talento e grande fantasia.
È chiaro che la Macchietta si è rivolta a tutti i tipi di umorismo e di comicità ai quali, con ogni sistema, era possibile attingere. Qui ci sono il frizzo, il lazzo, il doppio senso, il senso unico, l´allusione. Ma ci sono anche il racconto, il risvolto, la trovata, e spesso una vera e propria sceneggiatura, costruita addirittura come se ci si trovasse di fronte a un piccolo film. Tutte le risorse dell´umorismo italiano, napoletano specialmente, hanno contribuito a creare la canzone umoristica. Anche gli spunti dell´avanspettacolo e le trovate di quell´umorismo che normalmente viene definito «basso», miscelato all´umorismo più alto, anche la tradizione goliardica, anche la sofisticazione. Tutto è stato filtrato ed è poi giunto alla canzone umoristica e alla Macchietta. Del resto l´ambiente era eccezionalmente favorevole. Pensiamo all´atmosfera dei Cafè Chantant e dei Bar Tabarin, nati con le suggestioni che provenivano dalla licenziosa Parigi. Napoli inaugurò sul finire dell´Ottocento il suo Salone Margherita nella Galleria Umberto I. È qui che il sapore della canzone umoristica e della Macchietta viene fuori genuino e pieno della sua impertinente e incontenibile genialità. È qui che esplode il fenomeno delle soubrette e delle sciantose. Erano questi i covi in cui allignava la canzone umoristica, e dove dunque razzolavano anche i grandi autori, accanto a eccentriche figure alla Ninì Tirabusciò. Il primo Novecento è stato sicuramente un periodo fervidissimo per la creatività degli autori napoletani. Spesso le grandi firme delle più celebri canzoni napoletane, proprio accanto alle loro composizioni importanti avevano un loro repertorio irriverente, semiclandestino, pressoché segreto. Era fatto di poesie e di canzoni umoristiche che questi autori avevano il vezzo di riservare ai soli amici. Un repertorio che restava tuttavia di elevatissima qualità, e che quindi pian piano diventava inevitabilmente di pubblico dominio. C´è sempre stato il gusto, il piacere di spingersi in questo piccolo gioco che consisteva nel coprire musiche di un certo tipo con parole che erano addirittura parodistiche rispetto alla canzone seria e importante. Tra gli autori citerò soprattutto Cioffi e Pisano perché non si può parlare della Macchietta e della canzone umoristica senza ricordare quelli che ne restano probabilmente i massimi esponenti, certamente i più prolifici. Hanno scritto canzoni bellissime anche dal punto di vista della musica, rivestendole spesso con parole umoristiche. È a loro che si devono successi strepitosi come Dove sta Zazà?, Ciccio formaggio e tantissimi altri di popolarità sconfinata. Qui di «minore» non c´è davvero nulla. Anzi, ogni volta ci si imbatte in tesori di creatività e ispirazione straordinarie. Uno degli esempi illuminanti è nella famosa Agata. Nel testo, «lui» ricorda vecchie partite di carte giocate insieme a «lei», che però lo ha lasciato e che adesso è andata via. Da lì nasce il verso sublime: «Mo mme faccio ´o sulitario. Guardo in cielo e penzo a te!». Più creativo ed elegante di così…
(Dalla prefazione a Come si ride a Napoli!,
B.C. Dalai editore 2010)
RENZO ARBORE, la Repubblica 21/11/2010

UNO SCARABOCCHIO VIVENTE CONTRO LA DOPPIA MORALE DELL´HOMO ITALICUS - Deformare la realtà per smascherarla, mostrandone la faccia nascosta. È il denominatore comune a tutte le forme di teatro. Ed è la ragion d´essere profonda di un genere assolutamente italiano come la macchietta. Figlia solo apparentemente minore di una tradizione millenaria che affonda le sue radici nella viscerale comicità delle farse atellane e continua con la Commedia dell´arte. In ogni caso si tratta di un comico consegnato innanzitutto al corpo stralunato e alla voce artefatta dell´attore. Che diventa uno scarabocchio vivente. È proprio questo il significato originario della parola macchietta, un piccolo schizzo, un ghirigoro alquanto informe ma in compenso molto colorato. Come quelle figurine di sfondo di un quadro che spesso però danno il senso d´insieme e che si chiamano appunto macchiette. Del resto Nicola Maldacea, il vero padre di quest´arte, diceva di usare la musica al posto del colore per schizzare in poche pennellate canore i tratti essenziali di un tipo umano trasformandoli in caricatura. Facendone cioè una maschera. E proprio maschere sociali sono i protagonisti di quelle canzoni, dal Cavaliere del lavoro dello stesso Maldacea al Ciccio Formaggio di Nino Taranto, dal Bel Ciccillo di Totò al Gastone di Ettore Petrolini. Il risultato è un teatralissimo spaccato delle vicende della società italiana fra Otto e Novecento e della sua umanissima fiera delle vanità. Nobili decaduti, banchieri avidi, comunisti a parole, femministe arrembanti, preti boccacceschi, politici senza scrupoli. Nulla sfugge al mimetismo rabdomantico dei macchiettisti, l´intera realtà viene messa a nudo attraverso l´esagerazione fedele della caricatura. E la doppia morale della borghesia nazionale viene fatta letteralmente implodere attraverso il gioco del doppio senso, del lazzo irridente, dell´allusione, del qui pro quo. Che sono poi gli ingredienti di sempre della commedia nazionale, sulla scena e fuori. Nel funambolismo sbilenco di Totò, nello straniamento lunare di Petrolini, nel manieristico trasformismo di Peppino Villani il corpo e la voce diventano l´iperbole contraffatta di chi in realtà non è se stesso. Un asincrono in carne e ossa. Come il principe de Curtis quando disarticola insieme il corpo e il linguaggio facendo apparire la marionetta che ci abita a nostra insaputa. A prescindere! Mentre nell´abissale nonsense di Ettore Petrolini affiora, in un presentimento del miracolo economico, l´immagine anticipatrice del borghese piccolo piccolo, quello che ha comprato i salamini e se ne vanta. E persino in tempi più recenti il volto caricaturale dell´homo italicus affiora in quella macchietta da prima società dei consumi che viene riproposta nel 1956 da Renato Carosone in Tu vuò fa´ ll´americano. Whisky e soda e rock and roll. È il controcanto partenopeo di Nando Mericoni, l´immortale americano di Trastevere cui Alberto Sordi dà volto in quegli stessi anni.
Se la nostra arte scenica nasce dal ghigno delle antiche maschere italiche, allora la macchietta è da sempre la sua doppia anima, irriverente e pedagogica. Quella che ridendo castigat mores. O meglio, ridendo, castiga i mori. Parola di Totò.
MARINO NIOLA

Esce martedì il libro + dvd Come si ride a Napoli! di Vittorio Marsiglia e Carlo Missaglia con prefazione di Renzo Arbore (B. C. Dalai editore, 208 pagine, 20 euro): una piccola antologiache raccoglie la storia e i testi della canzone umoristica e della macchietta dalle origini a oggi. Accanto ai testi, note e spiegazioni per comprenderei doppi sensi e le arditezze che alcuni pezzi contengono