GUIDO RAMPOLDI , la Repubblica 21/11/2010, 21 novembre 2010
IL SOGNO DELL´EGEMONIA OCCIDENTALE
Se l´ingresso della Nato in Afghanistan non obbediva soltanto alle urgenze militari di un Pentagono proiettato verso l´Iraq, ma anche al tentativo di costruire un´egemonia occidentale in Asia centrale, il vertice di Lisbona ha sancito il fiasco definitivo di quel progetto.
Non tutto il male viene per nuocere. Zoppicante e non più percepita a Mosca come un pericolo incombente, la Nato ieri ha incassato dalla Russia la promessa di cooperare allo scudo missilistico, un sistema di difesa che dovrebbe proteggere l´Europa soprattutto dalla minaccia iraniana.
Ma neppure un esito così positivo, anche se da verificare, può eclissare quanto il summit occidentale ieri ha sancito: a otto anni dall´arrivo dei primi contingenti a Kabul, la Nato è costretta aD un´exit-strategy avventurosa e priva di garanzie che allo stato ha buone probabilità di consegnare il Paese all´ennesimo periodo di anarchia militare, e l´area ad un´incertezza pericolosa. Il disimpegno occidentale comincerà nel 2011 e potrebbe procedere, come annunciano pessimi presagi, in un modo disordinato. Entro il 2014 il peso dei combattimenti teoricamente cadrà per intero sull´esercito afgano, la cui coesione è incerta. Tutto questo non costituisce necessariamente la premessa di una vittoria dei Taliban, più deboli, e comunque più detestati dagli afgani, di quanto si creda in Europa. Ma certo è la sconfitta di quell´ambizioso piano per il quale la Nato si estroflesse oltre i propri confini con l´idea di difendere, soprattutto lungo le rotte degli idrocarburi, interessi e valori.
Otto anni dopo, lo stallo afgano, sommandosi al disastro iracheno, dà per risultato, almeno in quel segmento d´Asia, un mondo più agitato di prima, e tuttora privo di un nuovo assetto, di una nuova gerarchia. Quanto più la Nato laggiù diventasse marginale, tanto più protagonisti vecchi e nuovi tenterebbero di riempirne il vuoto. Dunque occorre un senso dell´ironia davvero involontario per affermare - come ieri il segretario generale dell´Alleanza, Rasmussuen - che «presto gli afghani saranno di nuovo padroni del loro futuro». È vero esattamente il contrario. Presto i vicini dell´Afghanistan potrebbero detenere quote più larghe di quel futuro, così come è stato per secoli. Le potenze dell´area, in testa il Pakistan e l´Iran, di sicuro raddoppieranno gli sforzi politici e militari per cercare di attrarre alcuni regioni afgane, o l´intero Paese, nella propria sfera d´influenza. Non è detto che vi riescano, né che sia impossibile armonizzare i troppi e contrastanti interessi che suscita l´Afghanistan all´interno di un accordo regionale. Ma le speranze riposte da anni in quel compromesso si scontrano con la crescente perdita d´influenza dell´arbitro, gli Stati Uniti e per estensione l´Occidente.
I Taliban ne ricavano che la vittoria è a portata di mano. Lo ribadiva ieri un loro portavoce, che nella conclusione del vertice occidentale leggeva l´ammissione della sconfitta. Dunque la guerriglia aumenterà l´impegno per cacciare gli occidentali dall´Afghanistan e cogliere il trionfo cui li candidano i suoi principali sostenitori, le comunità dell´estremismo islamico sparse dall´Indonesia al Medio Oriente. Ma a parte queste consorterie di forsennati, nessuno, neppure il Pakistan, vuole il mullah Omar a Kabul.
Inoltre è difficile che l´Afghanistan torni indietro, agli editti che resero le donne invisibili e i televisori nemici, dopo anni di esposizione alla tv, alle radio, alle speranze di emancipazione risuonate nel più sperduto villaggio afgano. E questa indubbiamente è una vittoria occidentale, non decisiva ma neppure minuscola. Forse non l´unica, ma una delle poche.
Forse è presto per chiedere che la Nato elabori in pubblico le ragioni del proprio insuccesso, del resto in parte note. Spesso l´Alleanza è parsa uno di quegli eserciti persiani che Alessandro Magno regolarmente sbaragliava, tante erano le lingue, le regole e gli stili di combattimento che vi erano rappresentati. Ha guerreggiato in un modo che comporta costi alla lunga insostenibili (750mila dollari annui per marine) e "danni collateriali" terribili. Non è riuscita a ricavare un vantaggio dal fiume di denaro che gli occidentali hanno portato in Afghanistan, spesso soltanto per riprenderselo con i più vari trucchi. È stata torpida e poco reattiva.
Ma forse non capiremmo perché l´Occidente abbia fallito nel progetto che doveva proiettarlo nel mondo, e nella storia di questo secolo, se non considerassimo lo scarso sostegno che quell´ambizione, forse esuberante ma non banale, ha ricevuto nell´opinione pubblica. Nessuno sembra riuscito a spiegare perché si debba "morire per Kabul". L´idea, anzi, che si possa morire per la libertà, perfino per la libertà dello straniero, risulta indigeribile. Perfino criminale, se alla libertà si aggiunge l´interesse strategico del Paese e di un´alleanza occidentale. Se questo è l´Occidente, è giusto che la Storia lo ridimensioni.