JACOPO IACOBONI, La Stampa 22/11/2010, pagina 5, 22 novembre 2010
Mara-Alessandra la lite della “vajassa” e le donne oggetto - Nessuno può essere più maschilista di una donna
Mara-Alessandra la lite della “vajassa” e le donne oggetto - Nessuno può essere più maschilista di una donna. Come a Napoli tutti sanno, solo una femmina può dire a un’altra femmina «vajassa», che significa «serva», «donna dei bassi», donna dei quartieri, donna sguaiata, ma anche, nella lingua della mala, «donna di strada». Nei drammi di Eduardo, a Regina Bianchi o a Pupella Maggio capita di sentirsi dare della «vajassa», sì: ma da altre donne, mai da Eduardo. Mai da don Mimì. E questo non certo perché gli uomini siano migliori, anzi, nell’Italia 2010, dove forse sono peggiori: semplicemente perché ci sono donne che hanno accettato di parlarsi tra loro come puri corpi. Mara Carfagna, sfinita dalla campagna che subisce da anni, fuori ma forse soprattutto dentro il Pdl, ieri s’è lasciata scappare un epiteto all’indirizzo di Alessandra Mussolini. Ha detto, parlando della foto che l’altra le ha scattato sui banchi di Montecitorio accanto a Bocchino, «è stato un atto di cattivissimo gusto che si addice alla persona che l’ha commesso, a Napoli le chiamano vajasse... In un partito serio una signora così sarebbe stata messa a tacere». Come no. Adesso la Mussolini già promette, «la Carfagna sappia che alla prima occasione di incontro sarà mia cura replicare ai suoi insulti, guardandola dritta in quei suoi occhioni, che dopo le mie parole, ne sono certa, risulteranno ancora più sbarrati». Vorrebbe che Fini sospendesse Mara. Prima delle dimissioni. Altrimenti... Alessandra del resto già si menò in tv con un ministro, Katia Bellillo; e magari lo rifarebbe ancor più volentieri, stavolta. E la Carfagna ha passato metà della sua vita politica a combattere per introdurre misure per le donne - per esempio la legge sullo stalking - e l’altra metà a difendersi da donne. Al «No Cav day» in piazza Navona, nel luglio 2008, fu Sabina Guzzanti a dirlo con forza inaudita, «quella è ministro perché a Berlusconi...». L’invettiva iniziava così, «osteria delle ministre / paraponzi ponzi po / le ministre son maestre / paraponzi ponzi po / e se al letto son portento, figuriamoci in Parlamento.../». Carfagna ovviamente la querelò, a Matrix disse alla rivale «poveraccia, mi sembra fragile anche mentalmente»; ma era tra le poche che non l’aveva attaccata alle spalle. Aveva litigato anche con Paolo Guzzanti, l’autore del feroce neologismo «mignottocrazia». Ma quella querela alla fine non fu sporta, i due si chiarirono, il giornalista-senatore del Pdl, un maschio, si scusò, e la vittima accettò. Solo che non è andata sempre così, e tra l’altro spesso i nemici di Mara sono stati obliqui. Oblique. Certo, Nicola Cosentino e Edmondo Cirielli in Campania. Ma nel Pdl a Roma è sempre stato difficile trovare uno straccio di vero rispetto, non si vuol dire amicizia, per la ministra più braccata dalla violenza della chiacchiera. Prestigiacomo, che dice ora di lei «è un ottimo ministro», nel maggio del 2006, interrogata sulle quote rosa, rispose «Carfagna chi?!?». Con la Brambilla, distanza: Mara fu portata a dire «mi piacciono le minigonne e le indossavo quando facevo spettacolo. Ma c’è un abbigliamento adatto a ogni occasione». Sempre la Mussoilini, riferendosi a vicende campane, disse che c’era «un tappo che impedisce di avvicinarsi a Salerno», «candidature di donne che impediscono ad altre donne di candidarsi». Persino la Wladimir Luxuria, deputata del Prc nel 2006, commentò così il seminario polista “Donne, vita e famiglia”: «Non mi sento di prendere lezioni da chi crede di difendere la famiglia e intanto ne sta sfasciando una, quella di Berlusconi». E non era la sola a riferirsi a quel complimento galeotto del premier alla Carfagna durante la serata dei Telegatti del 2006 («Mara, se non fossi sposato ti sposerei»). C’è chi addirittura vi lesse la goccia che fece traboccare il vaso con un’altra donna. Figurarsi. È un’Italia sconsolata, maldicente, opaca, perché lessicalmente il «vajassa» si porta dietro il «lenocinio»; il dramma di Filumena Marturano era un’altra cosa.