Antonio Lodetti, il Giornale 20/11/2010, pagina 18, 20 novembre 2010
Intervista a Guccini - Ha appena compiuto 70 anni e non festeggia perché è un aedo- in un corpaccione rabelaisiano - legato alle sue radici contadine
Intervista a Guccini - Ha appena compiuto 70 anni e non festeggia perché è un aedo- in un corpaccione rabelaisiano - legato alle sue radici contadine. Per Francesco Guccini parlano la doppia antologia Storia di altre storie e l’autobiografia Non so che viso avesse . Qualche concerto ben dosato (il prossimo il 10 dicembre al Forum di Milano: lo aspettano almeno 12mila fan) e per il resto il buen retiro nel suo eremo di Pàvana, dove esplode tutta la sua sanguigna emilianità, anche se siamo in Toscana. Qui, nella austera cucina della casa avita che risale al 1768, lo raggiungiamo per scoprirne i segreti. «Mia madre mi ci portò appena nato, dai nonni, per tenermi lontano dalla guerra. Non c’era luce né riscaldamento, ma con i prodotti del nostro mulino (quello sulla copertina di Radici ) non ho sofferto la fame. Poi nel ’44 arrivarono gli americani che ci diedero una grossa mano, mi confezionarono anche una specie di divisa per tenermi caldo». E la frase «vi diplomerò in canti e in vino in via Paolo Fabbri 43?». «I miei anni giovanili a Bologna sono stati epici, ma le radici sono qui. Lì davanti c’è il muro che cito in Quattro stracci , e poi qui han vissuto i personaggi più celebri dei miei brani». A esempio il frate? «Ah il Pieraccini, abitava qui vicino, beveva come pochi e raccontava certe balle... Ha fatto di tutto nella vita, prima di morire era piastrellista. Un uomo d’altri tempi. Qui sotto abitava una prostituta e una notte lo sentii bussare alla sua porta e dirle in dialetto: “dài apri, ti pago con quella mortadella che ti piace tanto”. In questi tempi di corruzione marcia ricordarlo così è un soffio d’aria pulita». E il pensionato. «Il Mignani, un vecchietto che mi ha dato molti spunti». I suoi brani sono universali perché autobiografici? «Beh, sono stralci di vita. Mi ispiro a Borges che dice: un autore è sempre autobiografico, ma ci sono due modi per esprimere lo stesso concetto. Insomma il realismo magico. E poi García Márquez: Pàvana è la mia Macondo, non importa che esista o meno, ma c’è dentro tutta la mia vita». Il cantautore è poeta? «Non ha senso paragonarli perché è diversa la tecnica compositiva. Anticamente poesia e musica viaggiavano insieme, oggi no, ma spesso sono altrettanto nobili, anche se i poeti si offendono se paragonati ai cantautori». Però molti suoi brani come Canzone dei 12 mesi sono considerati poesie, e lei cita molto, da Cecco Angiolieri a Omar Kayyam fino a Gozzano ne L’isola non trovata . «Le mie influenze letterarie sono infinite. Partendo da Salgari son passato agli americani, Dos Passos, Faulkner, Caldwell e Bob Dylan, all’università gli italiani, in seguito Borges, e questo si riflette nelle canzoni». Poi è diventato scrittore. «Tra poco esce il mio nuovo giallo scritto ancora con Loriano Macchiavelli». Giallista a pieno titolo... «Sono un romanziere. Da tempo volevo raccontare un fatto accaduto a Pàvana tanti anni fa, la strana morte di un prete che era spesso ubriaco e che fu trovato annegato in un bottaccio, che è il bacino d’acqua del mulino. Nessuno ha stabilito se sia stato incidente o omicidio». Guccini e il vino sono un classico dell’iconografia popolare, ma vedo che beve succo di frutta. «Non mi tiro certo indietro col vino, ma non sono un alcolista. Oggi bevo meno, sul palco solo mezza bottiglia. Per noi il vino era poesia, oggi ci sono le discoteche o se va bene le enoteche, cioè le boutique del vino». Un altro classico è Guccini l’anarchico. «L’anarchia per me è una simpatia istintiva, un ideale libertario che non può essere chiuso inun’ideologia.Anche se oggi i tempi di Bakunin son andati per sempre». E La locomotiva ? «Volevo ricreare l’atmosfera dei canti anarchici di Pietro Gori. La storia è vera, mi affascinò quando la lessi sul libro 30 anni di officina . Ci misi parecchio a scriverla, appunti su appunti, e la prima strofa la scrissi per ultima, non mi veniva un buon attacco. Son fiero che Roberto Leydi l’abbia definita “la più bella canzone popolare del dopoguerra” ». Da Pàvana come si arriva al successo? «Io non l’ho mai cercato. La mia prima chitarra l’ha costruita un artigiano di Porretta. Son partito con uno stile cabarettistico alla francese che univa Brel e Brassens, cioè il lato satirico e serioso. Quando incisi Auschwitz c’era un tecnico del suono in camice bianco poco dopo sarebbero arrivati quelli coi capelli lunghi e le camicie a fiori- e mi disse: “ma l’ha scritta lei questa roba? Che tristezza, cambi mestiere”». In un brano scrive che «il bere non si paga e non fa male»; e in un altro «voi preti che vendete a tutti un’altra vita/ se c’è come voi dite un Dio nell’infinito, guardatevi nel cuore, l’avete gia tradito/ e voi materialisti col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso/ le verità cercate per terra da maiali/, tenetevi le ghiande lasciatemi le ali». Che rapporto ha con Dio? «Sono agnostico, ma lascio una porta aperta, non si sa mai. È un peccato pensare che finisca tutto e poi non ci sia più niente».