Andrea Tarquini, Affari & Finanza 22/11/2010, 22 novembre 2010
UN MIRACOLO CHIAMATO GERMANIA
Venti o quindici anni fa, i maestri del pensiero neoliberale la davano per perduta. Oggi è tornata a una crescita economica senza pari nell’eurozona, ma senza nutrirsi in seno la serpe di bolle finanziarie. Venti o quindici anni fa, costo del lavoro in esplosione, produttività insufficiente e peso di molti carrozzoni pubblici la facevano apparire come una old lady obsoleta. Oggi la Germania esporta in tutto il mondo, e produce anche in tutto il mondo con i suoi marchi più prestigiosi, ma il processo è stato molto più un’espansione oltre confine che non una delocalizzazione a casa, per cui i comparti industriali non hanno perso il loro storico ruolochiave.
Venti o quindici anni fa il consenso della concertazione tra imprenditori e sindacati sembrava scricchiolare, oggi è tornato robusto valore costitutivo; il suo welfare sembrava non più finanziabile, oggi riducendone i costi ne è stato salvato l’essenziale di Stato sociale più esteso e generoso del mondo. Ecco, i punti di forza e le debolezze, le sfide e le chances del nuovo miracolo made in Germany.
Il sistema industriale Radicali riforme erano state varate dal mondo imprenditoriale poi assecondate dal potere politico, negli ultimi anni del cancellierato del padre della riunificazione, Helmut Kohl. I suoi due successori, Gerhard Schroeder e Angela Merkel, le hanno proseguite e completate. Tutto è cominciato comunque in fabbrica, tra padroni e operai. Parte da allora la nuova stagione di moderazione salariale e di sacrifici duri ingoiati dai sindacati più forti del mondo, ma per poi incassare dividendi robusti. Orario corto e tagli alle retribuzioni, molta più produttività, mobilità persino tra i vari impianti dei grandi gruppi in città diverse (come Bmw che ha ‘ruotato’ gli operai tra Monaco, Dingolfing, Ratisbona e Lipsia), rinunce alla tradizione decennale di grassi premi, tagli alle tredicesime. In cambio, sicurezza dei posti, tagli degli esuberi solo nel senso di non sostituire tutti quelli che andavano in pensione. Garanzie a lungo termine nell’occupazione. Come nell’ultimo contratto dei metalmeccanici che rende praticamente impossibile licenziare. I maggiori gruppi tedeschi – Bmw prima mondiale nel premium, o Daimler sua rivale, o Volkswagen che è in fase di sorpasso di GM e Toyota, per non citare che il comparto auto – si sono risanati a dovere. Reinventando la produttività consensuale a casa, producendo sempre più fuori senza chiudere impianti a casa. Infine ma non ultimo, l’industria tedesca non è più solo auto. E’ ascesa a posizioni di primato mondiale nell’aerospaziale e nella chimica, nelle biotecnologie e nell’elettronica. Basti pensare a Siemens, al gigante del software per aziende Sap, ai colossi chimici come Basf e Hoechst. La ricetta è stata tagliare tutto il superfluo ma mai a spese delle eccellenze, che anzi sono state premiate pompandovi investimenti a record storici.
La riunificazione digerita Il risanamento dell’ex Ddr costa ancora al contribuente tedesco circa 100 miliardi di euro l’anno (cioè ogni 12 mesi in prezzi reali l’intero Piano Marshall). Ma buona parte dell’Est tedesco è diventato location di aziende di punta, specie Turingia e Sassonia. Vent’anni dopo, insomma, un bilancio ben diverso da quello sul rapporto tra Nord e Sud 150 anni dopo l’unità d’Italia.
Privatizzazioni Alcune sono state attuate o comunque varate in buona parte. Dando buoni risultati: Deutsche Telekom contende a Vodafone il ruolo di numero uno europeo delle tlc, Deutsche Post da elefante pubblico è diventato un global player della logistica senza rivali in Europa. Ma non c’è stata alcuna privatizzazione frettolosa o selvaggia.
Export e mercato interno Per decenni, la Germania è cresciuta soprattutto come maestro dell’export. Per valore delle esportazioni, solo la Cina la supera, ma non c’è confronto tra l’alto contenuto tecnologico del made in Germany e del made in China. Negli ultimi anni, molti hanno (anche a ragione) rimproverato a Berlino di puntare tutto sull’export trascurando il mercato interno, a ovvio danno anche dei partner europei. Adesso il messaggio comincia ad essere ascoltato. L’aumento del Pil quest’anno (un lusinghiero 3,6%) è dovuto ora per 2 terzi al risveglio della domanda interna. Come è stato possibile? Ceti medi e piccole e medie aziende sono sempre più ricche, quindi spendono di più. Poi il mix di concertazione col sindacato e successi sui mercati globali ha portato a un calo della disoccupazione saldamente sotto i 3 milioni, ai minimi storici dalla riunificazione. E adesso che i sindacati chiedono aumenti salariali dopo anni di moderazione, il governo di centrodestra li appoggia.
Le banche, il punto debole Il sistema bancario tedesco non è assolutamente all’altezza del sistemapaese. Solo Deutsche Bank è un vero istituto internazionale, e sul mercato interno ha saputo rafforzarsi rilevando Postbank. Le altre banche non versano in buona salute. Commerzbank dopo aver assorbito Dresdner Bank è stata di fatto semistatalizzata durante la crisi finanziaria internazionale. Hypovereinsbank è stata salvata da Unicredit. Le banche pubbliche o semipubbliche dei Bundeslaender cercano strategie di fusioni per salvarsi dal fallimento, le casse di risparmio sono troppo parcellizzate. In questo settore, altre acquisizioni dall’estero sono possibili in futuro.
Il potere politico Sulla scena internazionale, Angela Merkel è quasi senza rivali. La stampa anglosassone e tedesca scherzando definisce lei e Hu Jintao «la coppia più potente del mondo», dopo lo scontro con l’America al G20. Paradossalmente, la forza mondiale non si riverbera sul fronte interno. Nei sondaggi la CduCsu della cancelliera e i suoi alleati liberali (Fdp) sono ai minimi, e non riconquisterebbero la maggioranza del 2009. Nonostante la sua buona gestione, il governo non convince. Matura nella società tedesca (democrazia solidissima da invidiare) una voglia di politica dal basso, o di riprendersi la politica, quasi un ’68 trasversale che coinvolge anche la borghesia. Movimenti contro il nucleare, contro lo sventramento del centro e della vecchia stazione di Stoccarda, contro il rischiorumore a Berlino per il nuovo aeroporto. Non a caso il nuovo avversario di riferimento del centrodestra sono non più la Spd bensì i Verdi. «Angie» però invita a ignorare i sondaggi sfavorevoli. Così fece Kohl, e restò cancelliere per 16 anni.
Tra europeismo ed euroscetticismo La linea dura di Berlino sul rigore per salvare l’euro suscita più mugugni che consensi nella Ue, ma non vi si contrappone una linea alternativa. Il vero problema di «Angie» in Europa è la sua stessa forza. L’alleato di riferimento nella Ue, la Francia, non tiene il passo della ripresa tedesca. I nuovi interlocutori preferiti nella Ue sono troppo defilati dall’euro, come il Regno Unito, o ancora troppo giovani come realtà economiche di successo (Polonia e resto del centroest) per creare nuovi duopoli. Euroscetticismo soft, un certo unilateralismo, nuove priorità geopolitiche, possono dunque divenire inevitabili, nella fretta e nella necessità di Berlino di trattare da pari a pari con Washington, Pechino e Mosca.
Prospettive Sul piano economico, l’unico grande rischio per la Germania (se l’euro non finirà male) è quello sottolineato giorni fa da Dominique StraussKahn: che a furia di non curarsi dei deficit commerciali e dei pagamenti altrui Berlino non potrà più sperare sempre di guadagnare attivi. Ma la crescita di Cina, India, Brasile e CentroEst Europa attutiscono il pericolo. Sul piano politico, coesistono oggi nella società tedesco un elemento «francese» di voglia di protesta di base, come si diceva, e un elemento «inglese» vecchio stile, cioè affrontare sfide e momenti duri con sereno stoicismo consensuale e trasversale. Molto nella stabilità politica futura dipenderà da quanto la Germania sarà più «francese» o «britannica». Ma forse un mix dei due elementi diverrà nuova forza costitutiva della cara Bundesrepublik.