Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 22/11/2010, 22 novembre 2010
ESSERE POTENZA MONDIALE CHI LO È, CHI NON LO È
Quali sono i criteri con cui si conferisce ad un Paese il titolo di potenza mondiale? Si continua a sentir dire che siamo tra le prime 10 potenze, ma perché? Abbiamo un potere politico autorevole e influente in campo internazionale? Abbiamo (o abbiamo avuto) una forte e stabile economia (senza l’aiuto di Paesi terzi, quindi senza indebitarci)? Abbiamo (o abbiamo avuto) una prospera e solida capacità industriale? Abbiamo risorse naturali? Abbiamo strumenti (penso, per esempio, al petrolio) con cui ridurre, rispetto ad altri Paesi, l’efficacia delle caratteristiche elencate? Credo che l’Italia non ne abbia alcuna. Eppure continuiamo a essere nella «top ten» delle potenze e siamo membri del G8. Ma contemporaneamente abbiamo un tasso di disoccupazione a dir poco preoccupante, un debito pubblico stratosferico, un’economia che fa acqua da tutte le parti, un’industria che, a detta di autorevoli manager, non ricava nessun utile a produrre qui. Sono messe così anche le altre potenze mondiali?
Domenico Marino
l_dom@libero.it
Caro Marino, per essere potenza mondiale occorre avere, anzitutto, ambizioni mondiali. Questo non significa che le caratteristiche da lei elencate siano insignificanti. Significa tuttavia che nei rapporti fra le nazioni esistono fattori intangibili da cui è impossibile prescindere. La Gran Bretagna, la Francia e più recentemente la Russia hanno perduto il loro impero, ma hanno conservato uno spirito e una mentalità che possono definirsi mondiali. Naturalmente le ambizioni non bastano. Una potenza è davvero mondiale quando si sente direttamente o indirettamente coinvolta da qualsiasi evento e, soprattutto, quando dispone dei mezzi necessari per intervenire ed esercitare ovunque la sua influenza. Entro i limiti di questa definizione esiste oggi al mondo una sola vera potenza mondiale: gli Stati Uniti. Ma anche l’America non risponde interamente al profilo che emerge indirettamente dalla sua lettera. È impelagata in due guerre che non riesce a vincere. Ha un colossale debito con la Cina. Ha una economia stagnante, una forte disoccupazione e una politica finanziaria molto discutibile. Ed è incapace di risolvere alcune grandi crisi regionali come quella palestinese e quella del Kashmir fra India e Pakistan.
L’Italia non è una potenza mondiale e può qualificarsi tutt’al più nel girone delle potenze regionali. Siamo entrati nel gruppo dei Paesi maggiormente industrializzati perché ogni direttorio viene generalmente costituito come i governi di coalizione, i consigli d’amministrazione, gli organi direttivi di un partito. Occorre fare un delicato lavoro di bilanciamento fra grandi e piccoli, sud e nord, est e ovest. Occorre soprattutto decidere se l’estromissione di un candidato non possa provocare più danni della sua ammissione. Nel caso del G7, ad esempio, gli americani sostennero la nostra candidatura anche perché ritennero che uno sgarbo all’Italia avrebbe ulteriormente aggravato l’instabilità di un Paese che stava attraversando una crisi drammatica (eravamo alla metà degli anni Settanta). Da allora il G7 è diventato G8 e potrebbe allargarsi, se il G20 non sarà all’altezza, ad altri Paesi. Ma ammettere i nuovi è meno complicato che estromettere i vecchi.
Quanto al quadro che lei disegna della situazione economica italiana, caro Marino, ho l’impressione che questa descrizione prenda per buoni i toni pessimistici e gli argomenti strumentali che appartengono ai quotidiani duelli della politica nazionale. Non è vero che l’economia faccia acqua da tutte le parti. Non è vero che la disoccupazione (metà di quella spagnola e inferiore a quella francese) sia più preoccupante di quella degli altri maggiori Paesi dell’Occidente. Non è vero che le analisi di Marchionne si applichino a tutta l’industria nazionale. Talleyrand diceva: «Tutto ciò che è esagerato è insignificante». È una verità che gli uomini politici italiani hanno tendenza a ignorare.
Sergio Romano