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 2010  novembre 22 Lunedì calendario

SCHIPA, IL TENORE PER ECCELLENZA

Era nato a Lecce, da poverissima famiglia , negli ultimi giorni del 1888; fu registrato all’anagrafe come del 2 gennaio 1889. Che cosa sarebbe stato di lui, che non aveva i mezzi per studiare? Sarebbe diventato un posteggiatore, forse un canzonettista. Ma nel 1902 s’insediò a Lecce l’arcivescovo napoletano Gennaro Trama: che doveva essere un uomo simpaticissimo, a giudicare dalla foto che lo ritrae con Titu («’o piccerillo»). Questi gli si affezionò paternamente e lo fece entrare in Seminario dove Tito Schipa, uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi, potette imparare anche la composizione: e infatti era un musicista completo. Studi di perfezionamento a Milano e il debutto a Vercelli con La Traviata nel 1909. A poco a poco Schipa entrò nel giro dei grandi teatri e si conquistò un posto, non solo in Italia, ma in particolare nel Nord e nel Sudamerica donde per decenni nessuno riuscì a scalzarlo. Lì è ancora il centro del suo culto. La sua carriera durò fino al 1963. Morì di diabete.
Ne parliamo a causa d’un evento eccezionale che si deve all’associazione culturale leccese Nireo, animata dal virtuosissimo pianista Francesco Libetta. La Nireo ha realizzato e messo in commercio in questi giorni la serie delle registrazioni integrali di Tito Schipa, provenissero esse dal disco (il suo primo disco è del 1913), da concerti dal vivo o da film. Si tratta di un album di 34 compact discche ogni musicofilo dovrebbe regalarsi per Natale e ogni cantante o studente di canto sviscerare attentamente: testimonianza storica, dirà qualcuno, lezione attualissima, diciamo noi.
La voce di Schipa non era priva di difetti: non era molto estesa, tanto nell’acuto quanto nel grave. E infatti in questi dischi si trovano anche brani in tonalità trasposta, cosa che un tempo si faceva con molta maggior disinvoltura di oggi. Ma i pregi sono sovrabbondanti. Innanzitutto il timbro, da tenore «di grazia» e «lirico», d’una luminosità e d’una bellezza incomparabili. È come se vi fosse l’essenza stessa della «tenorilità». Il porgere d’una finezza assoluta. Una tecnica strepitosa nel cantare «sul fiato», sicché non solo non vi è mai una nota sforzata o «spinta», ma il timbro è omogeneo lungo tutta la gamma: o al contrario riesce a modificarsi come da sé nella stessa emissione di fiato. «Filati» irripetibili. «Smorzando» lunghissimi, e «messe di voce» incomparabili.
La raccolta si divide in quattro generi musicali. Presentissima è la musica leggera, ma qua va subito fatto un confronto fra la raffinatezza e la spontaneità con le quali la canta Schipa e la volgarità con la quale la cantano i tenori attuali. Faccio riferimento alla non più possibile manifestazione dei «tre tenori» o alle canzoni napoletane massacrate da Pavarotti, che sono addirittura un esempio in negativo. I quattro generi sono i seguenti. Brani da Opere liriche, interpretate per intero nel corso della carriera oppure non affrontate in palcoscenico. Qui svettano la personificazione del duca di Mantova, l’Arlesiana di Cilea, il Werther (ch’era la sua Opera preferita), la Manon, la Tosca e il Don Pasquale. Poi le canzoni napoletane, nelle quali l o spuntar talora di un po’ di accento leccese non guasta la perfezione e la passionalità, o l’allegria popolaresca insita in molte, giusta l’indole dei partenopei: molte su testi poetici d’altissimo valore.
Qui occorre ammettere che Schipa non regge il confronto con Caruso. Poi le canzoni in italiano, fra le quali numerose quelle di Cesare Bixio, un autore che per la sua importanza e diffusione si rivela uno dei più importanti del Novecento e che attende ancora una bio-bibliografia critica. Infine i tanghi in lingua spagnola che giustificano la sua vivissima popolarità in Sudamerica. Schipa, da ultimo, possedeva un’ineguagliabile fonazione articolata e chiarezza di dizione. In un’interessante intervista a due col maestro Vincenzo Bellezza che pure fa parte della raccolta egli scherzosamente racconta che la più forte categoria di suoi nemici era costituita dai venditori dei «libretti» dell’Opera.
Paolo Isotta