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 2010  novembre 21 Domenica calendario

LE SPERANZE E I PERICOLI SULLA STRADA DEI «SAMARITANI» - L’

ultima sfida è quella dei cuori "rigenerati": subiscono un "lavaggio" cellulare e poi vengono trattati con cellule staminali del paziente che deve essere trapiantato, in modo da renderli compatibili. Li stanno sperimentando a Madrid, in collaborazione con la Minnesota University: ci sono riusciti con i cuoricini di topo, entro la fine dell’ anno ci proveranno con un cuore umano. Questa strada, quella degli organi bioartificiali, è una delle tante che vengono battute nei laboratori di tutto il mondo con l’ obbiettivo di risolvere, o quantomeno alleviare, il problema della cronica carenza di organi. In Italia l’ emergenza è espressa da una cifra: 9.453. È il numero di pazienti in attesa di trapianto, in gran parte persone in dialisi, in coda per sostituire un rene malato. Come affrontare allora il dramma della lista d’ attesa? Il problema non è certo nuovo, ma recentemente due fatti hanno riacceso il dibattito nella comunità scientifica. Il primo è stato l’ appello lanciato al congresso nazionale dei nefrologi per un maggior sostegno alla donazione da vivente: quello di reni soprattutto, ma anche di parti di fegato, unico altro trapianto d’ organi solidi possibile. L’ Italia, notano i nefrologi, è tra gli ultimi in Europa (ma in linea con Francia e Spagna) nelle donazioni "altruistiche": al 7,43% (123 nel 2008) del totale dei trapianti effettuati contro una media mondiale del 46%. Bisogna quindi fare di più. Ma non tutti sono d’ accordo su questa linea: l’ alta percentuale mondiale, si nota giustamente, deriva in gran parte da donazioni che sono tutt’ altro che altruistiche, figlie di veri e propri mercati degli organi, in Oriente, in India e in America Latina. Anche negli Usa la percentuale del 36,13% è raggiunta col sospetto di transazioni economiche compensative. Si potrebbe però, dicono i sostenitori del trapianto da vivente, almeno raggiungere i livelli dell’ Europa del Nord, che supera in media il 20%. Aprire insomma il più possibile all’ altruismo, organizzare meglio la rete di "offerte", non limitarsi alla ricerca degli organi da cadavere. Da una parte dunque la drammatica realtà dei pazienti in attesa, dall’ altra la preoccupazione di una deriva mercantilistica di questa pratica medica. Il dibattito - e questo è il secondo fatto - è stato poi alimentato dalla pubblicazione di un libro dal titolo suggestivo, "Santi o schiavi?", dedicato appunto alla donazione di organi da vivente, che oltre a fornire tutti i dati in materia, raccoglie le diverse posizioni sulla questione. Autore del saggio è Franco Filipponi, dell’ università di Pisa, che dirige l’ unità di chirurgia generale e trapianti di fegato dell’ ospedale locale ed è presidente del SISQT (Società italiana per la sicurezza e qualità dei Trapianti). «La pratica della donazione da vivente - dice Filipponi - rappresenta oggi una forma "aggiuntiva" di donazione per ovviare alla costante carenza di organi. I progressi tecnici e scientifici hanno reso sicura la donazione da vivente, specie per il rene, rendendo i tassi di mortalità e di complicanze per il donatore attualmente molto bassi. È giusto, quindi, che i cittadini vengano informati su questa opportunità, ma bisogna comunque sempre considerare che il donatore viene sottoposto a un intervento chirurgico e si espone al rischio che l’ organo che gli resta non possa svolgere tutte le funzioni o addirittura smetta di funzionare». «Il trapianto da vivente non è la soluzione delle liste d’ attesa -dice Vincenzo Mazzaferro, direttore di Chirurgia Generale e trapianti all’ Istituto nazionale dei tumori di Milano -. Va detto che dà risultati ineccepibili, in interventi senza alternative perseguibili, con ottimi risultati. Ma per quel che riguarda il fegato tuttavia, anche nelle mani migliori, si accompagna a un rischio di morte per il donatore, se pure in percentuali minime. È l’ unico intervento conosciuto in cui si mette a rischio una persona sana». L’ attualità del libro di Filipponi, curato assieme a Paolo De Simone e Davide Ghinolfi, deriva anche dal recente varo della normativa riguardante la cosiddetta donazione "samaritana", i "santi" del titolo del libro. Prevista già da una legge del ’ 67 che regolamenta la donazione di rene da vivente, solo ora ne sono stati definiti i termini di impiego. Fino ad oggi infatti i trapianti da vivente in Italia sono stati effettuati solamente da donatori consanguinei o legati affettivamente al ricevente. La maggior parte (il 67% nell’ ultimo decennio) sono stati da figlio a genitore, da genitore a figlio (11,4%) o tra fratelli (21,6%). Definita "eticamente apprezzabile" dal Comitato nazionale di bioetica (ma con qualche parere discorde, si veda l’ intervento qua sotto di Francesco D’ Agostino), ne è stata varata la sperimentazione dal Consiglio Superiore di Sanità, limitatamente al rene e in modalità cross-over, vale a dire nei trapianti incrociati, quando più coppie di possibili donatori-riceventi sono biologicamente incompatibili. In tal caso la presenza di un "samaritano" può risolvere il problema delle incompatibilità, dando il via a una catena virtuosa di interventi. Selezionati da una commissione che ne valuta le condizioni fisiche e mentali, fino ad oggi si sono fatti avanti in Italia soltanto 3 samaritani e nessuno è stato impiegato. «La donazione samaritana ha posto la rete trapiantologica di fronte a un’ opzione complessa - dice Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti -. La valutazione sarà effettuata dopo dieci casi di donazioni di questo tipo. Ricordiamo comunque che il trapianto da vivente rappresenta una modalità integrativa e niente affatto sostitutiva al trapianto da cadavere». «Questa forma di donazione - ribadisce Filipponi - apre tuttavia quesiti importanti non solo di carattere etico, ma anche sociale e normativo. È una prassi consolidata in quei Paesi caratterizzati o da particolari culture religiose oppure da un basso livello di politiche sanitarie per la donazione da cadavere. Ma in Italia non è così. Forse sono altre le strade da percorrere o da potenziare in termini di cultura della donazione. La Spagna ci ha insegnato che è possibile in pochi anni diventare primi in Europa (35 donazioni per milioni di abitanti) grazie a un diverso modello organizzativo della donazione da cadavere. L’ Italia è più indietro, ma si possono raggiungere gli stessi risultati, come è avvenuto per esempio in Toscana».
Riccardo Renzi