Renato Franco, Corriere della Sera 20/11/2010, 20 novembre 2010
TEO TEOCOLI: LO CONFESSO NON HO MAI LAVORATO MA CON BB E LA FONDA… - A
Saint Tropez si presenta un motoscafino da 50 metri, il GA, Gianni Agnelli. L’ Avvocato chiede, arrotando tutte le sue erre moscissime, se lui, Teo, è greco, per via di quella faccia: «No, guardi sono di Niguarda, via Adriatico numero 3». Surreale e spiazzante, la prima autobiografia (comica) di Teo Teocoli è scritta come un grande spettacolo di varietà, fatto di aneddoti e sketch. Io ballo da solo (Mondadori, 220 pp., 18 euro), in libreria da mercoledì 24. Antonio Teocoli da bambino lo chiamavano Nino, poi a un certo punto è diventato Teo. Frequentava il bel mondo, negli anni 60 e 70. A Saint Tropez, quella volta, vanno tutti insieme in un ristorante «in cui mangiare costava come allora costava una 500». Il menu prevede aragoste e ostriche e Teo da Niguarda ha paura che alla fine tocca pagare e simula «una raffinata e signorile inappetenza», fino alla scoperta finale: a pagare è GA. «A Gstaad mi capitò di cenare con Grace Kelly e il principe Ranieri di Monaco, non sapevo che li avrei incontrati e avevo un orrendo dolcevita marroncino. Io non so come si chiamava di nome Ranieri. Non lo sa nessuno... Gino... credo». Racconta di Brigitte Bardot e della segretaria di lei, «una ragazza spagnola bellissima, una Penélope Cruz, più alta, più intensa». Stavano insieme e la Bardot non capiva perché lui fosse sempre lì, fino a che «scuotendo la sua meravigliosa capigliatura, mi guarda e dice: "Come mai tutti sono in giro e tu sei qua?. Teò, sfigatò"». Racconta di una notte con Jane Fonda, una festa in villa con danni per quattro milioni di franchi: «Non abbiamo avuto una relazione perché lei era già incinta di Roger Vadim», ma vuoi mettere quando il giorno dopo Barbarella in spiaggia, davanti a tutti gli amici, gli dice: «Bonjour Teo. Ha salutato solo me, un figurone, tutti di stucco». Ha conosciuto anche Dalí, a casa sua, vicino a Cadaqués e «quando uscivo, due enormi guardaspalle dall’ aria poco raccomandabile mi perquisivano perché è facile arrotolare una tela simbolista con un orologio floscio e metterla via. Mettevi via un miliardo e mezzo subito». Era introdotto a casa Dalì perché Gala, la moglie, che viaggiava sui 90 (anni) si era innamorata di lui. Conquista (non solo le 90enni) e si piace molto Teocoli: «Ero un ballerino strepitoso. Se avessi avuto vent’ anni in America avrei fatto La febbre del sabato sera. Tony Manero ero io». Frequentava il sole patinato di Costa Brava e Costa Azzurra, ma per anni ha continuato ad abitare nelle case popolari. Pensava sempre a quell’ ambiente povero, semplice e felice ogni volta che era a Gstaad o Saint Tropez: voleva tornare là, dalla mamma. «Quando dissi a mia madre, a 43 anni, che mi sarei sposato con Elena, ha pianto per quattro giorni di fila. Ma non di gioia. Se non tornavo a casa mi sentivo perso. Ero molto tradizionalista». Ha vissuto con la mamma fino a 43 anni, è diventato famoso a 47. Con la tv. Non cita Berlusconi, ma fa intendere. Canale 5? «Il clima generale era di assecondare eccessivamente i gusti del padrone, c’ era gente che sorrideva come lui, figli adottivi, spesso mediocri». Eccezione, quelli bravi e intelligenti: Vianello, Mike, Corrado. Ricorda il suo primo grande successo (Non sapessi ma lo so, era il 1982 con Boldi su Antenna 3) e il momento migliore della sua carriera che coincide con Scherzi a parte (con Boldi e poi Gene Gnocchi e Massimo Lopez) e «soprattutto con il trionfo di Mai dire gol. Nel 1992, a 47 anni, ero diventato famoso. Grazie a Felice Caccamo, Peo Pericoli, Gianduja Vettorello». Teo e la scuola. Nato a Taranto nel 1945, qualche anno a Reggio Calabria e poi arriva a Milano: «Il primo giorno andai a scuola con un finocchio, proprio un finocchio, l’ ortaggio, mentre tutti gli altri miei compagni di classe avevano la brioche, le paste, le pizze». Non era uno studente modello, «venivo sempre bocciato. Ho fatto Ragioneria, come Fantozzi». Non può mancare lo stadio, dove la regola era non pagare per entrare. I trucchi? Scavalcare o infilarsi dietro a uno con il biglietto (allora si poteva, bei tempi) o inseguire il pullman del Milan «finché sfinivo qualcuno tra i calciatori» e alla fine gli davano un biglietto. A vedere il Milan andava con quattro amici, qualche gradino più sotto c’ era Abatantuono «un 16enne bello, moro, riccio e ciccione. Non lo abbiamo mai cagato, Diego mi odia ancora oggi per questo». Teo e la Milano che non c’ è più, nera, tra mitra e champagne. Quando a vedere gli spettacoli di Boldi e Teocoli c’ erano Francis Turatello e la sua banda al Village di via Ancona e due luogotenenti del boss, due killer, che per scherzare gli puntavano le Beretta sotto la gola premendo sul collo. Ma i malavitosi si mischiavano anche al pubblico del Derby, inteso non come MilanInter, ma come il locale storico del cabaret. La filosofia di un intrattenitore per caso - «non avevo il physique du rôle del comico» - è nell’ introduzione: «Non ho mai lavorato, in pratica non ho fatto un c... tutta la vita».
Renato Franco