Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 20/11/2010, 20 novembre 2010
QUANDO L’ INGRESSO NELLA UE SERVE A COMPORRE CONFLITTI - II
pericolo di un rallentamento nel cammino della Ue, rilanciato da Lisbona, è stato segnalato anche dal Corriere. Alcuni Paesi candidati all’ ingresso comunitario hanno contenziosi territoriali ed etnici, sia tra di loro che con Stati già membri (Macedonia-Grecia, Turchia- Cipro, Serbia-Kosovo, Moldova-Romania). Non c’ è il rischio che queste vertenze, che gli ottimisti sperano di risolvere in un contesto europeo, finiscano invece per appesantire il già ingombro e litigioso tavolo comunitario?
Francesco Mezzalama
elena.mezzalama@ alice.it
Caro Mezzalama, allorché la disintegrazione dell’ impero sovietico ci costrinse ad affrontare il problema dell’ allargamento dell’ Unione europea, sapevamo che ogni Stato della regione si sarebbe portato dietro un pericoloso bagaglio di conflitti etnici e territoriali. Quando cominciarono le guerre jugoslave, constatammo ancora una volta che la penisola balcanica era un brodo di coltura dove circolavano tutti i batteri dei conflitti civili, non escluso quello religioso. Avremmo dovuto sbarrare la porta e rinchiuderci in una sorta di «fortezza Europa»? Potevamo impedire ai nuovi arrivati di aderire a un progetto che era stato concepito, sin dagli inizi, per tutti i Paesi democratici del continente? Fu deciso di aiutare quei Paesi durante la transizione e fu detto ad alcuni di essi, con franchezza, che non sarebbero entrati nell’ Ue se non avessero risolto anzitutto i loro conflitti. Questa esortazione dette buoni risultati nel caso dell’ Ungheria e della Romania, dove gli ungheresi della Transilvania sono circa un milione e mezzo. In ciascuno dei due Paesi esistono gruppi di nazionalisti aggressivi che non hanno mai smesso in questi anni di soffiare sul fuoco. Una certa destra ungherese lancia slogan irredentisti e una certa destra romena vorrebbe cacciare i magiari dalle regioni in cui hanno messo radici da parecchi secoli. Ma i due governi hanno capito che il nazionalismo avrebbe pregiudicato la loro aspirazione a far parte della Ue e hanno adottato una politica accomodante. Desiderata da entrambi, l’ Unione ha fatto in questo caso un utile lavoro di mediazione e pacificazione. Le cose sono andate diversamente in Jugoslavia, dove la prospettiva dell’ ingresso nella Ue non ha impedito alle repubbliche federate di farsi una guerra crudele e sanguinosa. Ma in questi ultimi anni, dopo la crisi del Kosovo, il presidente serbo Boris Tadic ha lasciato capire che l’ ingresso del suo Paese nella Ue gli sembra più importante di una estenuante battaglia per il recupero di un territorio che è ormai, con ogni probabilità, irrimediabilmente perduto. Una commissione internazionale presieduta da Giuliano Amato è giunta alla conclusione, d’ altro canto, che soltanto l’ ingresso nell’ Unione europea di tutte le ex repubbliche jugoslave avrebbe impedito nuove fratture e nuovi conflitti. Esistono problemi più complicati e altri che noi stessi abbiamo contribuito a inasprire. È stato un errore, per esempio, ammettere la Repubblica greca di Cipro quando il Paese, a differenza dei turchi dell’ isola, respinse il piano dell’ Onu per la riunificazione. Ma l’ Europa non può rifiutarsi di prendere in considerazione le nuove candidature, deve tuttavia ricordare che può accettare nuovi membri soltanto se rafforza contemporaneamente le proprie istituzioni. Chi entra nella Ue deve sapere che la partecipazione comporta molti obblighi e che vi è a Bruxelles qualcuno in grado di farli rispettare.
Sergio Romano