Sergio Rizzo-Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 20/11/2010, 20 novembre 2010
FUCILI SABAUDI E SUPERMUCCHE: I SUSSIDI SENZA FINE
Una mandria di vacche agita le notti valdostane. Vacche vere, niente a che fare col mondo delle giovani giovenche di coscialunga apparse nel sexy-firmamento della politica nostrana. Vacche enormi, da otto quintali. Che tutti gli anni, a ottobre, si sfidano a cornate nell’ Arena della Croix Noire, il vaccodromo fuori Aosta, per l’ elezione della «Regina delle regine». O se volete, Miss Vacca. Mette paura, dicono, vedere una mucca di otto quintali che si avventa sulla nemica. Ancora più paura, però, mette oggi l’ incubo d’ un rinvio a giudizio di una settantina e passa di allevatori, veterinari, tecnici di laboratorio, produttori di fontina. Coinvolti in un’ inchiesta giudiziaria, appena arrivata a compimento, per «associazione a delinquere finalizzata alla truffa nei confronti della Regione per ottenere i contributi a salvaguardia della razza bovina valdostana; commercio di prodotti alimentari pericolosi per la salute; frode nella produzione della Fontina: abuso d’ ufficio nell’ esercizio della professione veterinaria; maltrattamento e uccisione di animali; frode nell’ esercizio del commercio...» Tutto nasce dai pacchi di soldi che la Regione autonoma, la Madre Vacca dalle generose mammelle alle quali succhia tutta l’ economia, fornisce per tutelare due «tesori» valligiani: la vacca pezzata nera-castana (che rispetto alla pezzata rossa da latte è più portata al combattimento) e la fontina. Le regole sono chiare: mucche e formaggio devono essere rigidamente «autoctoni». Per capirci: niente incroci con mucche foreste, niente fieno straniero, niente latte scadente ma solo (dato che il formaggio tipico si fa «con il latte bovino crudo intero proveniente da una sola mungitura») di primissima qualità. È lì che la magistratura ha trovato, dice, un sacco di pasticci. Sperma di toro da inseminazione contrabbandato illegalmente dalla Svizzera. Vacche alimentate con fieno ungherese nonostante i contributi per il foraggio valdostano. Partite di burro e fontina messe sul mercato nonostante fossero fatte con latte infetto e «dannoso per la salute umana» uscito da stalle irregolari nonostante i soldi avuti per le «stalle indenni». Laboratori che non segnalavano al ministero della Salute ma all’ allevatore la presenza di vacche malate. Le quali magari venivano soppresse e rimpiazzate con vacche importate clandestinamente dalla vallata elvetica di Hérens. Vacche quasi identiche ma più aggressive e adatte ai combattimenti che arrivavano talvolta, secondo l’ accusa, ad assumere anche il nome e i documenti di quelle fatte sparire. Uno scandalo enorme, per queste valli. Tanto più che tra i primi ad essere messi agli arresti l’ anno scorso c’ erano i titolari dell’ Azienda agricola «La Borettaz» dov’ è cresciuta «Cobra», l’ ultima «Regina delle regine», vale a dire Fabrizio Bisson e Gabriele Viérin, presidente dell’ associazione regionale degli allevatori. Come andrà a finire? Si vedrà. Ma viene in mente quanto scriveva mezzo secolo fa Piero Ottone manifestando perplessità su certi eccessi dell’ autonomia: «Se certe cose possono accadere qui, dove siamo quasi in Svizzera...». Parole d’ oro. Confermate negli anni a venire da una serie infinita di scandali e scandaletti. Valanghe di soldi dati dall’ Autoporto agli spedizionieri perché scegliessero il Traforo del Bianco anche se magari su tanti tragitti avrebbero risparmiato tempo e gasolio passando per il Brennero. Buoni benzina regalati a pioggia in periodo elettorale. Rimborsi stratosferici a società di autolinee che mandavano su e giù per le valli bus fantasma che accumulavano su percorsi inesistenti milioni di chilometri mai fatti. Finanziamenti facili a finti «contadini» che invece di ristrutturare decrepite stalle malsane sistemavano a spese dei contribuenti italiani «stalle» mansardate con caminetto e moquette. Per non dire di un’ altra truffa legata ai bovini. Quella delle cosiddette vacche tisiche: il «90% dei contadini», secondo il magistrato, aveva scoperto che se avevi una vacca che faceva meno di un tot di latte al giorno era più conveniente, grazie ai risarcimenti regionali, averla malata piuttosto che sana. Col risultato che migliaia di pezzate rosse si ammalarono improvvisamente di tubercolosi finché, prima che la razza si estinguesse, arrivò provvidenziale una modifica alla legge. Con un immediato e miracoloso risanamento delle povere giovenche. Insomma, una lista di furbizie così lunga, per questo fazzoletto di terra alpina da fare sospirare un giorno l’ allora procuratore della Repubblica Mario Vaudano: «La popolazione ha scarsissimo senso civico, e questo consente una generalizzata impunità». Basti ricordare che cinque presidenti regionali di fila a cavallo fra gli anni 80 e il 2002, uno appresso all’ altro, da Augusto Rollandin a Mario Andrione, da Gianni Bondaz a Ilario Lanivi fino a Dino Viérin, furono via via costretti a lasciare perché coinvolti o sfiorati da pasticci giudiziari. O che ancora l’ anno scorso la Corte dei conti ha condannato gli ex presidenti Dino Viérin e Carlo Perrin per i finanziamenti esagerati alla centrale del latte destinati a «creare artatamente un mercato "drogato" a beneficio esclusivo di un limitato nucleo di allevatori rimasti fuori dal circuito della fontina...». Il guaio è, secondo molti osservatori, che da queste parti piovono troppi soldi. Tanto da far ironizzare sulla «Caisse du Midi», versione valdostana della Cassa del Mezzogiorno. Un’ assistenza all’ economia locale così premurosa da regalare risvolti paradossali. Come il record planetario di automobili: 108 ogni 100 abitanti, minorenni e vecchietti compresi. Una proporzione inverosimile. Che straccia, superandolo del 48%, perfino il record italiano di 60 auto ogni 100 abitanti, inferiore solo a quello (73 su 100) del Principato di Monaco. Come mai? C’ è chi chiama in causa il privilegio che ogni valdostano patentato aveva fino a qualche mese fa di acquistare 80 litri di benzina al mese al solo costo industriale. Senza le tasse notoriamente astronomiche. Altri spiegano che buona parte di quelle macchine sono altrove e sono state solo immatricolate qui perché grazie alla Regione autonoma il bollo è meno caro di un buon 20%. Col risultato che, anche se non esistono statistiche ufficiali, le immatricolazioni «autoctone» sarebbero si e no una su quattro. Quanto sia stata utile l’ autonomia a queste montagne lo dice il confronto con quanto scriveva Guido Piovene, che aveva passato qui negli anni 30 un pezzo d’ estate: «Quando pioveva vedevo le vie mutate in torrenti impetuosi perché mancavano le fogne. Tutta l’ area intermedia tra la grande valle centrale e il termine delle valli laterali e minori di attrazione turistica era un’ area depressa. Sugli stessi pendii della valle centrale cominciava la povertà...» Per molto tempo l’ unico sogno al quale potevano aggrapparsi i valligiani, soprattutto da metà Ottocento quando parte della Vallée diventò Distretto reale di caccia, furono le battute venatorie dei Savoia: «Dovunque passa e dimora il Re», scriveva l’ Alpino il 16 agosto 1895, «largamente sparge le sue beneficenze, la miseria scompare e per un po’ di tempo ai numerosi pezzenti non manca il pane quotidiano». In una Regione che all’ inizio del Novecento, secondo Louis-Napoléon Bich, incassava ogni anno 200 mila lire dalla coltivazione delle patate, Vittorio Emanuele III arrivò a distribuire durante una battuta di caccia di soli quattro giorni ben 17.400 lire di sussidi ed elemosine. Al solo sindaco di Aosta, come riportò Le Mont Blanc il 15 settembre del 1911, regalò 4 mila lire. L’ arrivo dei fucili dei Savoia significava soldi per i Comuni, le chiese, gli orfanotrofi. E poi manutenzione dei sentieri e degli edifici pubblici. Costruzione di strade e anche di ponti. La prassi prevedeva anche indennizzi per i pascoli spelacchiati dagli animali selvatici. Per non parlare del lavoro: il Re pagava guardiacaccia, sorveglianti e battitori. A centinaia. E poi, sorride il rettore dell’ Università aostana Pietro Passerin D’ Entrèves, autore di studi quali Les Chasses royales in Valle d’ Aosta, c’ era «il rito della dona. La domenica mattina Vittorio Emanuele II si sedeva in mezzo all’ accampamento e cominciava la processione. Chi raccontava che gli era morta la vacca, chi aveva il tetto da riparare, chi aveva il figlio sotto le armi, chi la figlia da maritare. Il Re accontentava tutti». Dando un pò di consolazione a queste genti afflitte dalla povertà, dall’ emigrazione, dalle malattie che avevano guadagnato loro il nomignolo di «gozzuti» per quei gozzi abnormi dovuti alla mancanza di iodio. Un marchio grottesco e umiliante, che meritò anche una citazione nella Tempesta di Shakespeare dove il fido Gonzalo chiede al re di Napoli, Alonso: «Quando eravamo fanciulli, avremmo mai creduto che ci fosser montanari con un grugno di toro e con due borse di carne penzoloni ai loro colli?» Quando arrivarono i primi fermenti risorgimentali, gli aostani, per quanto parlassero francese (come Cavour e Vittorio Emanuele, del resto...), non ebbero dubbi: «Avanti Savoia!» Tanto più che fu loro garantito che sarebbero stati trattati con un occhio di riguardo come accadeva dal 1032, quando Umberto Biancamano concesse alla Valle le prime franchigie, rafforzate nel 1191 dal conte Tommaso I che regalò ai valdostani la «carta delle libertà e franchigie valdostane». Viva viva Savoia! Viva l’ Italia! Oggi Aosta è uno dei posti più ricchi d’ Italia. Il prodotto pro capite è di 33.473 euro, i depositi bancari sono a 20.647 euro per residente, inferiori solo a quelli di Roma, Milano, Bologna e Siena. La disoccupazione quasi non esiste. Nonostante la crisi, il turismo continua a marciare: sono calati gli inglesi ma in compenso sono aumentati, e di molto, i russi. Eppure non sono i turisti che fanno ricchi i valdostani. Neanche l’ industria. L’ epoca delle grandi fabbriche come la Châtillon si è ormai praticamente chiusa. Il benessere lo garantisce mamma Regione. Oltre 21 occupati su cento sono dipendenti pubblici. Più che una Regione autonoma, la Valle è un mondo a parte. A cominciare dal cosiddetto riparto fiscale: un embrione di federalismo introdotto nel 1981, quando si stabilì che il 90% delle tasse raccolte qui dovessero restare alle comunità locali. Questo, naturalmente, senza intaccare i massicci trasferimenti aggiuntivi. Nel 2008 il Comune di Aosta era al quinto posto in Italia con 879 euro pro capite, subito dopo Bolzano (1.121), Trento (1.113) e Catania (1.090). Davanti anche a Palermo (868). Adesso quel 90% è stato portato al 100% per sette imposte, fra cui l’ Irpef. Certo, in cambio i valdostani si fanno carico di un mucchio di competenze in più rispetto ad altri e hanno dovuto accettare un taglio dei trasferimenti dello Stato centrale, 104 milioni nel 2011. Ma su un bilancio di 1,6 miliardi e con l’ aria che spira per i conti pubblici, va bene così. Quinta tra le città capoluogo per spese correnti con 1.510 euro pro capite, dietro l’ inarrivabile Venezia (2.092 euro), ma a ridosso di Bolzano (1.592), Trento (1.575) e Siena (1.513). Aosta ha oggi oltre 3 mila dipendenti regionali. Uno ogni 42 abitanti. Per capirci: la chiacchieratissima Sicilia vanta un rapporto 5 volte più alto: uno a 230. Senza contare la galassia delle imprese locali. La Regione controlla otto enti pubblici non economici, quattro agenzie e 19 aziende pubbliche. E ha partecipazioni di minoranza in altre 31 imprese. Un arcipelago che va dalle centrali elettriche alle funivie, al gioco d’ azzardo. Era una miniera d’ oro, un tempo, il Casinò di Saint Vincent. Scriveva Ottone nei primi anni Sessanta che versando alla Regione i tre quinti degli incassi contribuiva al bilancio della Valle in maniera determinante. Tanto da scatenare appetiti e fare scoppiare scandali. Come quello che negli anni Ottanta, quando la casa da gioco aveva ancora la bellezza di 1.200 dipendenti, costò un mandato di cattura al presidente regionale Mario Andrione, che sfuggì alle manette riparando in Francia. I tempi delle vacche grasse (vacche metaforiche, stavolta) sono passati. Anzi, nel 2008 i conti erano andati in rosso addirittura di 16 milioni di euro. Oggi va meglio. La società che lo gestisce ha incassato nel 2009 circa 95 milioni di euro e, nonostante il calo di clienti (ah, la crisi...), il bilancio è tornato in attivo di 6 milioni. Anche grazie alla scelta della Regione di rinunciare a gran parte del prelievo diretto sulle giocate, ridotto dal 40% al 10%. Corrispondenti a un’ entrata di una quindicina di milioni l’ anno. Profondamente permeata da decenni di cultura democristiana in salsa aostana, la Vallée è l’ ultimo baluardo del socialismo real-doroteo all’ italiana. La Regione ha in mano tutto. E’ regionale perfino lo stabilimento della «Cogne acciai speciali», gestito dall’ imprenditore privato Marzorati. L’ unica grande impresa rimasta. Su tutto regnano i partiti. Anzi, il partito: l’ Union Valdôtaine. Che via via ha perso qualche pezzetto attraverso scissioni varie, ma domina incontrastata senza essere neppure scalfita dagli scandali. La prova? Il ritorno al potere alle ultime regionali, a dispetto della condanna a 16 mesi per abuso d’ ufficio in relazione ad alcuni appalti, del padre padrone del movimento, Augusto Rollandin. Detto anche l’ Imperatore un pò perché comanda lui, un pò perché, come ha scritto Enrico Martinet su La Stampa, porta «tre nomi di battesimo, due da imperatore, Augusto e Claudio, uno da re, Arduino». Visto quello che abbiamo raccontato, indovinate che mestiere fa? Il veterinario. Credevano di averlo fatto fuori, si è ripreso lo scettro. Demolendo quello che molti avevano indicato come il suo erede, Luciano Caveri, giornalista della Rai, nipote di Severino Caveri, uno dei fondatori dell’ Union. E aprendo per la prima volta il partito a destra, grazie a un accordo con il Pdl sia alle europee sia alle comunali di Aosta, dove oggi è sindaco Bruno Giordano, forzista post-craxiano. Anzi, se il centrodestra non fosse deflagrato nella rissa Berlusconi-Fini, forse sarebbe andato in porto (nonostante i mugugni sinistrorsi) anche il progetto di estendere l’ accordo alla Regione. Un atto più che altro simbolico, considerando le forze in campo. Su 35 consiglieri regionali (uno ogni 3.653 abitanti: 14 volte in più della media nazionale di uno ogni 51.022) ben 17 sono dell’ Union Valdôtaine ma il Pdl (4 seggi) e il Pd (3) si spartiscono soltanto le briciole perché il resto dei seggi è in mano ad altre formazioni autonomiste, dalla Stella alpina alla Fédération autonomiste fino all’ Alpe. Leghisti? Manco l’ ombra. A cosa potrebbero mai servire, se le conquiste federaliste sono in cassa da un pezzo? Si vogliono bene, i politici valdostani. Il presidente della giunta ha un’ indennità di 10.043 euro netti al mese: la più alta, al netto dei rimborsi, di tutte le Regioni fatta eccezione per il presidente provinciale di Bolzano. Lo stipendio dei consiglieri è di 6.041 euro netti, sempre il più elevato, stavolta dopo quello dei calabresi. Quello dei sindaci, rispetto ai colleghi italiani, è faraonico. Basti ricordare che anche dopo il taglio del 10%, grazie al parametro con le indennità dei rappresentanti regionali, il sindaco di La Magdaleine, microscopico comune di 91 abitanti, avrebbe diritto sulla carta (poi sta a lui decidere se approfittarne o no) a 3.624 euro. Una rendita che, rapportata alla popolazione, è immensamente più alta di quella di qualunque altro primo cittadino delle metropoli italiane. Va da sé che, abituati bene, i politici aostani hanno via via trovato più seccante fare un’ ora di macchina per raggiungere l’ aeroporto di Caselle. Tanto più che per andare a Torino in treno, su una linea che fino a Ivrea non è ancora elettrificata e usa locomotori diesel così inquinanti che non possono entrare nel capoluogo piemontese, servono come minimo due ore e dieci. Nel gennaio 2007 la Regione aveva fatto un accordo con la Air Vallée, microscopica compagnia di proprietà dell’ ex padrone del Torino Calcio Franco Cimminelli che gestiva un solo volo di linea fra Roma e Aosta, in base al quale avevano un altro volo a loro riservato per la capitale e rientro in giornata dal lunedì al venerdì. Costo: 2 milioni 628.420 euro l’ anno. Cioè 10.070 euro al giorno. Non bastasse, fu deliberato l’ allungamento di 400 metri della pista dell’ aeroporto per far atterrare aerei più grandi. Totale della spesa: 29 milioni 980 mila euro. Un salasso. Aggravato da uno strascico giudiziario. Una causa per danni (ritardi nei lavori) promossa dai nuovi proprietari della compagnia aerea, un gruppo di imprenditori genovesi che fa capo alla famiglia Costantino, petrolio e affini. Che pretendono almeno 3 milioni di risarcimenti per mancati affari. La Regione ha risposto: marameo. Una causa surreale: la stessa Regione non solo è in società con Air Vallée nell’ Avda che gestisce l’ aeroporto. Ma ha una quota, attraverso la Finanziaria regionale, nella stessa compagnia aerea...
Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella