Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano 21/11/2010, 21 novembre 2010
IL PREMIER, IL SENATORE E L’APPOGGIO DI COSA NOSTRA
Il 29 giugno quando la Corte d’appello di Palermo aveva condannato Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, nella maggioranza c’era stato persino chi aveva avuto il coraggio di esultare. Il “teorema è stato smontato”, “l’offensiva su mafia e Forza Italia è stata sconfitta” dicevano all’unisono i capo-gruppi del Pdl alla Camera e al Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, felici perché i tre giudici avevano assolto Dell’Utri per i fatti successivi al 1992. Con la sentenza, secondo loro, cadeva per sempre l’ipotesi che tra il braccio destro del Cavaliere e Cosa Nostra fosse stato stretto un patto politico-mafioso. Le ombre su parte delle origini del partito del premier si diradavano e quello che restava era solo la figura di un Berlusconi imprenditore vittima, come molti altri delle estorsioni, dei clan.
Oggi però la lettura del 641 pagine della motivazioni della sentenza Dell’Utri ci regalano una storia molto più complicata. Per due motivi. Il primo: il braccio destro del premier si salvato dalla condanna per ciò che accaduto tra la Sicilia e Milano negli anni più recenti solo per insufficienza di prove (il collegio quando affronta la questione politica parla più volte di “insufficiente valenza probatoria delle risultanze”).Il secondo: dalla sentenza non emerge solo la figura del Dell’Utri “mediatore” impegnato per 18 anni a far pervenire miliardi di lire in contanti a Cosa Nostra, dopo che nel 1974 l’attuale presidente del Consiglio si era incontrato con Stefano Bontade, l’allora capo di tutti i capi. C’è di più e di peggio. In almeno un caso - ritenuto provato persino dalla Cassazione - Dell’Utri ha utilizzato i boss come una sorta di agenzia di recupero crediti. E lo ha fatto per tentare di favorire un’azienda del premier: Publitalia.
Ma andiamo con ordine e vediamo cosa ha scritto il collegio. Per quello che riguarda il presunto patto politico con Cosa Nostra (“il sostegno di Dell’Utri alla discesa in campo di Berlusconi” “con il proposito (...) di tutelare meglio gli interessi del sodalizio mafioso”) alla fine la sentenza recita: “il fatto non sussiste”. Ma scorrendo le pagine si capisce chiaramente che ciò accade solo perchè la formula dell’assoluzione dubitativa è stata abolita nel 1989. Restano così alcuni fatti. Decisamente inquietanti dal punto di vista storico-politico. Anche secondo i prudenti giudici d’appello la mafia nel 1994 votò in massa per il movimento del Cavaliere. Scrive la Corte: “può ritenersi che tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia, voluto da Berlusconi e creato con il determinante contributo organizzativo di Dell’Utri, in Cosa Nostra maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione”. E lo stesso, accadde, almeno per quanto riguarda il senatore azzurro, in occasione delle elezioni europee del 1999.
PER I GIUDICI non è però stato possibile ottenere “prova certa” che quei voti furono frutto di un accordo. Secondo loro resta il dubbio che nel ‘94 l’ex fattore di Arcore, Vittorio Mangano, con gli altri boss potesse millantare di aver ricevuto garanzie. Non è poi provato che davvero Mangano si sia incontrato per due volte con il futuro senatore azzurro nel ’93 (come sosteneva il tribunale sulla base delle agende di Dell’utri). E oltretutto, secondo il collegio, le dichiarazioni di una serie di collaboratori di giustizia sono contraddittorie. Mentre il pentito Gaspare Spatuzza che parla di un accordo tra Berlusconi, Dell’Utri e i fratelli Graviano, gli autori delle stragi del ‘93, “non è attedibile”. E allora perchè la mafia ha votato Forza Italia e poi scelto Dell’Utri alle europee. Per il collegio è valida “la tesi di un’adesione di Cosa Nostra (...) sorta spontaneamente, indotta e determinata dalla convinzione che il sodalizio mafioso avrebbe avuto certamente da guadagnaredaunprogrammagarantista sui temi della giustizia quale quello adottato dalla nuova formazione”. Il fatto che fino a pochi mesi prima Dell’Utri si fosse “certamente adoperato in favore del sodalizio mafioso prestando la sua preziosa opera di mediazione” tra l’organizzazione criminale e Berlusconi, dal punto di vista giuridico, non “è una prova sufficiente” per affermare che l’accordo ci fu. E non lo sono nemmeno alcune intercettazioni ambientali del 1999-2000, in cui i boss del patto parlano esplicitamente. Dell’Utri infatti veniva allora votato perché considerato da Cosa Nostra un perseguitato dalla magistratura. I mafiologi, se la sentenza verrà confermata, hanno insomma materia per discutere per anni. Anche perché ancora sul finire del ‘91, Dell’Utri e la mafia sembravano essere una cosa sola. Ad accorgersene a sue spese, racconta la sentenza, è Vincenzo Garraffa, il presidente della Pallacanestro Trapani. Garaffa stringe un accordo per una sponsorizzazione con Publitalia. Ma a un certo punto gli viene chiesto di retrocedere in nero alla concessionaria di pubblicità circa metà del miliardo e mezzo di lire ricevuto. Garraffa, incontra Dell’Utri a Milano. Che gli dice chiaro e tondo: “Abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Passa qualche tempo e una mattina Garaffa, nel frattempo divenuto senatore del Partito Repubblicano, riceve la visita del boss di Trapani, Vincenzo Virga, accompagnato da un guardaspalle.Iduenonlominacciano,mavogliono risolvere il problema dei soldi di Publitalia sorto con il comune amico Marcello. Per tutto questo, a Milano, dopo una serie di sentenze di rinvio in terzo grado, è ancora in corso un processo. Ma la cassazione ha già detto che la vicenda storica è provata, e che non va più discussa. Bisogna solo stabilire il reato e l’eventuale pena. Dell’Utri insomma la mafia la usava. Ma nonostante questo (o forse proprio per questo) il premier non lo ha mai abbandonato.