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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

I CAVALIERI DELL’OCCIDENTE

La mappa globale del potere è sempre in costante evoluzione. È possibile quindi che l’Occidente perda il ruolo assunto negli ultimi secoli. Ian Morris in Why the West rules-For now trae le conclusioni di una tendenza che sembra affondare le proprie radici nella guerra del Vietnam, per poi arrivare dritta alla recente crisi finanziaria. In effetti Morris, docente di Storia a Stanford, punta a diventare per la geopolitica quello che Niall Ferguson, storico di Harvard, è diventato per la finanza, cioè il narratore della (possibile) fine di un ciclo. Ma l’ultimo libro dell’archeologo britannico ha forse ambizioni più elevate. L’«Economist» lo ha accostato ad Ascesa e declino delle grandi potenze di Paul Kennedy, il teorizzatore principe del declinismo statunitense. Del resto, la lucidità e la ricchezza delle tesi proposte da Morris rappresentano la sintesi di un dibattito che va avanti da oltre 30 anni. E che non è ancora concluso.

Perché l’Occidente è diventato ciò che è? L’idea di Morris è che in realtà lo strapotere di Europa e Stati Uniti sia il concorso di una serie di fenomeni in parte casuali, in parte indotti. Il dominio che prende forma dal caos? Non proprio, ma quasi. Molto dipende da quelli che Morris definisce «i cinque cavalieri dell’apocalisse»: cambiamenti climatici, carestie, migrazioni, malattie e fallimenti statali. Proprio per questi fattori, considerati «assolutamente indipendenti alle volontà dei governanti», le civiltà hanno sempre avuto un andamento altalenante. In pratica, come l’economia è controllata dalla ciclicità, anche il potere globale ha un simile destino. «Quando era l’Oriente a essere davanti, intorno al VI secolo, gli intellettuali dell’epoca erano sicuri che il dominio non avrebbe trovato ostacoli», sottolinea Morris. Tuttavia, nella presunzione degli studiosi orientali c’erano i semi per l’avvicendamento al vertice.

Ecco quindi che, seppur con molto ritardo rispetto alle previsioni, si compie l’ascesa dell’Occidente. Tre le fasi: il principio, dettato dalla Rivoluzione industriale inglese; il consolidamento, avutosi nel corso del XIX secolo tramite il capitalismo; il rafforzamento, sorto con lo sviluppo delle tecnologie nucleari e informatiche nel XX secolo. Ma oggi lo scenario generale si sta trasformando. Cina e India sono forse gli esempi più floridi di tale mutamento. La globalizzazione ha evidenziato come sia possibile la redistribuzione del potere. Un fenomeno, quest’ultimo, che Morris, forte della sua formazione storico-antropologica, ha riscontrato anche nel declino della Cina nel corso del XIX secolo e nella disgregazione dell’Impero Romano.

Morris riprende quindi le teorie di Kennedy, inserendole però in un mondo sempre più interconnesso. Quest’ultima variabile è quella considerata più influente, dato che potrebbe essere la soluzione al presunto declino dell’Occidente. La globalizzazione ha messo in luce che i nuovi arrivati nel Gotha del potere globale hanno tutte le carte in regola per poter far sentire la propria voce. Uno dei temi principali del libro dello storico inglese è infatti la ridefinizione della geografia politica, partendo dall’esperienza di Jared Diamond.

La tendenza all’interscambiabilità del ruolo dominante globale è divenuta ancora più marcata dopo la crisi economica nata nel 2007. Gli Stati Uniti, già impegnati in una difficile congiuntura politica, stavano perdendo lo splendore di un tempo. Finiti i tempi dell’espansione finanziaria derivante dalla presidenza di Ronald Reagan, Washington ha dovuto fare i conti con l’impennata della Cina. Anche dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, il pericolo ha continuato a provenire dall’Est. Pechino, ma non solo, ha acquisito sempre più potere commerciale, diventando il primo polo produttivo al mondo. E come la Cina, l’India ha saputo innovarsi, divenendo una delle fucine intellettuali internazionali. Analogo il discorso per Arabia Saudita, Brasile, Cile, Turchia. Alla luce di questo, la lotta al terrorismo scaturita dall’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 non ha fatto altro che accelerare un processo che era già incominciato. E il colpo di grazia, forse, è stato indotto proprio da cause endogene all’Occidente.

«La crisi subprime ha amplificato il mutamento del potere globale». Niall Ferguson ha così definito il nuovo equilibrio di assetti geopolitici. Il nuovo Occidente è quindi l’Asia? Guardando il percorso dei capitali finanziari si direbbe di sì. Le grandi banche statunitensi, nei giorni neri di Wall Street successivi al fallimento di Lehman Brothers, hanno guardato a Oriente in cerca di un porto sicuro, a volte trovandolo, come nel caso di Morgan Stanley. E il dinamismo che l’economia asiatica ha dimostrato di fronte alla capitolazione della tradizionale finanza statunitense assume un ruolo di prim’ordine nella lettura degli scenari futuri. Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, a fine 2008 commentò con chiarezza la trasformazione in corso: «La crisi ha evidenziato che l’economia non è più dipendente dal l’America. Anzi, è probabile che si formino delle macroaree trainate dal l’Asia, che a oggi sembra in grado di guidare la ripresa». I fatti, con i tumulti europei legati ai debiti sovrani, hanno alimentato questa ipotesi.

Il potere dell’Occidente è giunto quindi al capolinea? Per Morris bisogna superare le distinzioni classiche. Nel caso continui l’attuale quadro di sviluppo sociale, fra squilibri e dissesti, è possibile che il dominio dell’Occidente termini nell’arco del prossimo secolo. Tuttavia, non bisogna sottovalutare l’apporto dell’innovazione tecnologica, capace di abbattere le tradizionali barriere sociali. In particolare, giocheranno un ruolo fondamentale l’informatizzazione e le biotecnologie. «Ancora una volta – spiega Morris – la storia ci sta fornendo la possibilità di imparare dal passato per migliorare il nostro futuro». Ma non è detto che ci sia la giusta cognizione per sfruttare coerentemente questa opportunità.