Paola Liberace, Il Sole 24 Ore 21/11/2010, 21 novembre 2010
IL MAGO DELL’INDIMOSTRABILE - I
logici, si sa, adorano i paradossi. Soltanto un logico matematico come Harvey Friedman (che ha tenuto due conferenze al dipartimento di Informatica dell’Università La Sapienza di Roma) poteva dedicare ai "teoremi indimostrabili" gran parte della sua carriera e del suo talento. Che non è poco, se pensiamo che Friedman a diciotto anni era professore a Stanford (per questo comparve nel Guinness dei Primati – youngest Professor), e che nel 1984 riceveva il prestigioso "Alan T. Waterman Award", offerto dalla National Science Foundation al miglior scienziato statunitense al di sotto dei 35 anni.
Ma cos’è un "teorema indimostrabile"? Non fa forse parte della definizione stessa di "teorema" il fatto di poter essere dimostrato rigorosamente? Certo che sì, ma una dimostrazione parte sempre da certe ipotesi, premesse o assiomi. Quali sono queste ipotesi? Tutto in matematica – numeri, funzioni, figure geometriche, grafi eccetera – può essere rappresentato come un insieme. E tutte le dimostrazioni della matematica classica possono condursi in base a un numero ben circoscritto di assiomi che riguardano l’esistenza di insiemi e le costruzioni possibili con gli insiemi. Questi assiomi (una decina!) formano la cosiddetta Teoria degli insiemi, una specie di teoria della teorie, una teoria generalissima in cui trovano più che comodamente posto l’analisi, la geometria, l’algebra e la Teoria dei numeri così come le conosciamo.
Ora: se scopriamo che un certo enunciato matematico non può essere dimostrato all’interno di questa teoria, non dobbiamo ragionevolmente chiamarlo – tout court – un enunciato "indimostrabile"? Se la nostra teoria non è contraddittoria (e se lo fosse sarebbe da buttare!), allora esistono moltissimi enunciati indimostrabili: se la teoria dimostra un teorema, l’opposto di quel teorema (la sua negazione) è indimostrabile. Ma che succede ora se scopriamo un enunciato indimostrabile e tale che anche la sua negazione non è dimostrabile nella teoria? «Esiste un insieme infinito di numeri reali che non può essere messo in corrispondenza biunivoca né con i naturali né con i reali», è senz’altro un enunciato puramente matematico: ci stiamo infatti chiedendo quanti sono i punti sulla retta reale. Nel 1963 Paul Cohen dimostra che sia questo enunciato che la sua negazione (ossia il Problema del continuo) sono indimostrabili, e per questo si aggiudica la Medaglia Fields, il massimo riconoscimento per un matematico.
Bene, dirà ancora il matematico mainstream (forse ora con una punta di invidia!): il Problema del continuo è una questione di interesse puramente teorico; ma siamo ben lontani dalla matematica del mainstream, quella vicina alle applicazioni, quella che si occupa di strutture estremamente concrete, e non di astrazioni degne di palati mistici. Siamo nel 1963, e la domanda: Esistono verità indimostrabili che parlano di strutture concrete? resta inevasa, obbligando il logico e il teorico degli insiemi a una imbarazzante evasività. Oggi, con la sua monografia di prossima pubblicazione per Springer – Boolean Relation Theory and Incompleteness – che raccoglie i risultati di dieci anni di lavoro, Harvey Friedman è in grado di rispondere positivamente a questa vecchia domanda, e di togliere i teorici dall’imbarazzo. Friedman ha individuato enunciati che hanno tutta l’aria di "innocenti" teoremi di matematica discreta ma che sono indimostrabili dagli assiomi della Teoria degli insiemi. Naturalmente Friedman è in grado di dimostrare l’indimostrabilità dei suoi enunciati (un altro amabile paradosso). Resta così dimostrata l’esistenza di verità matematiche concrete ma indimostrabili!
C’è dell’altro. Perché Friedman si ostina a chiamare teoremi i suoi enunciati? Ovvio: perché è in grado di darne una dimostrazione! In un estremo tour de force tecnico Friedman ha trovato il modo di dimostrare i suoi enunciati, ossia di indicarci – tra l’enunciato e la sua negazione (entrambi indimostrabili) – quale dei due è vero. Per questo ha usato ipotesi che trascendono quelle della normale Teoria degli insiemi. Si tratta di ipotesi che postulano l’esistenza di infinità incredibilmente grandi, note con il nome un po’ inquietante di «Grandi Cardinali». Sono ben note agli addetti ai lavori, ma quanto di più lontano dal mainstream si possa immaginare. I risultati di Friedman dimostrano che queste ipotesi sono, in un certo senso, irrinunciabili, anche per certe parti della matematica concreta e del mainstream. Come ci è riuscito? La risposta è semplice. Scherza Friedman (ma non troppo!): «Sono andato nel futuro e ho riportato indietro, per voi, un esempio di come sarà la matematica tra mille anni». O forse tra duemila. Qualcuno potrebbe reagire come Gordan reagì – secondo la vulgata – alla dimostrazione di un famoso teorema di Hilbert: «Questa è teologia, non matematica!». Ma in questo caso Friedman potrebbe rispondere, con ragione: «E non potrebbe essere altrimenti».