Ahmed Rashid, Il Sole 24 Ore 21/11/2010, 21 novembre 2010
L’AZZARDO DI KARZAI: SCARICARE OBAMA PER IRAQ E PAKISTAN - I
leader della Nato riuniti a Lisbona per definire una via di uscita dall’Afghanistan entro il 2014, erano chiamati a prendere anche una decisione molto più urgente: come rinsaldare la collaborazione con il presidente afghano Hamid Karzai.
Da un animato confronto con Karzai durato due ore, nel palazzo presidenziale di Kabul, emerge chiaramente che il suo modo di vedere gli eventi globali, l’intervento Usa in Afghanistan, il futuro politico del suo Paese, il ruolo e l’atteggiamento della Nato, ha subìto un profondo cambiamento. La sua nuova visione del mondo riflette la svolta politica più radicale che gli abbia visto compiere da quando ci siamo conosciuti 26 anni fa.
Karzai è fortemente critico nei confronti dell’Occidente e soprattutto degli Stati Uniti, incapaci a suo avviso di portare la pace in Afghanistan e di assicurarsi l’appoggio del Pakistan, che continua a dare asilo ai talebani. Gli Stati Uniti accusano erroneamente gli afghani dei propri fallimenti passati e presenti, afferma Karzai rinviando al mittente le critiche americane al suo governo.Non condivide più la guerra al terrorismo secondo la definizione di Washington, e giudica controproducente l’incremento delle forze militari Nato nel sud del Paese, che si basa sulla conta dei talebani morti, ma trasforma le città in fortezze e aliena sempre più le simpatie della gente comune.
Avanzando un’ipotesi che genera allarme e malumore fra gli occidentali, Karzai sostiene che esista un’alternativa politica alla Nato: fare più affidamento sui Paesi della regione, soprattutto Iran e Pakistan, per arrivare alla cessazione delle ostilità e trovare un accordo con i talebani. Eppure, negli ultimi sei mesi, nessuno dei due vicini ha fatto nulla di concreto per agevolare la pace fra Karzai e i talebani. A Kabul, rappresentanti occidentali e afghani concordano nel dire che l’Iran negli ultimi mesi ha rafforzato il sostegno ai talebani nell’Afghanistan occidentale, forse per accumulare un credito da riscuotere nelle future trattative per un accordo di pace. Il Pakistan, che ospita l’apparato dirigente talebano, aspira a un ruolo centrale in qualsiasi negoziato fra la Nato o Karzai e i talebani.
L’unica concessione fatta in estate dall’Isi (i servizi segreti pakistani) è stata esercitare pressione sulla rete di Jalaluddin Haqqani affinché non inviasse attentatori suicidi a Kabul, una promessa sostanzialmente mantenuta. Tuttavia, l’Isi ha rifiutato di liberare i leader talebani arrestati a febbraio per aver condotto trattative segrete con il presidente afghano. Secondo Karzai, l’incapacità statunitense di controllare l’Isi non gli lascia altra scelta che rafforzare i rapporti con il Pakistan, per raggiungere la pace con i talebani.
Durante la conversazione mi ha sfidato a ricordare se, nel corso della nostra lunga conoscenza, si sia mai dimostrato antioccidentale. In effetti, durante l’esilio in Pakistan e nei primi anni da presidente, è stato un convinto ammiratore dell’Occidente. Questa inversione di rotta, sebbene in parte alimentata dalla paranoia dei suoi consiglieri, si basa anche su quasi un decennio di rapporti frustranti con gli occidentali.
Non sorprende che gli afghani siano confusi. Per Karzai è obiettivamente difficile spacciare alla propria gente i tentennamenti occidentali come una politica coerente. Non c’è ancora un’autorità civile centrale statunitense o della Nato in grado di mettere in atto le decisioni sulla politica afghana e lanciare un messaggio chiaro a Karzai, anche se il generale Petraeus svolge questo ruolo per l’esercito.
Indebolito nel suo ruolo, con l’escalation della guerra in tutto il Paese e le forze occidentali che vogliono andarsene, Karzai è determinato a mantenere l’apparenza di potere presidenziale e a riaffermare la sovranità dell’Afghanistan. È esattamente ciò che fece il presidente comunista Mohammed Najibullah quando i sovietici cominciarono a ritirarsi dall’Afghanistan nel 1989: creò un nuovo partito nazionalista con un’ampia base e definì un programma patriottico per l’esercito allenato alla guerra e il suo manipolo di fedeli ufficiali che avevano sconfitto gli allora mujahedin in numerose battaglie.
Forse Karzai vuole seguire le orme di Najibullah, ma non dispone degli stessi mezzi, e la mancata creazione di istituzioni statali è imputabile a lui, non agli americani. La riaffermazione della sovranità afghana può essere raggiunta solo ponendo fine alla guerra con i talebani, ma il presidente afghano confonde il suo popolo agendo sia come capo di governo sia come uomo unico di opposizione, spesso pronto a deplorare le uccisioni di talebani, più che quelle dei propri soldati.
Ma allora qual è la via di uscita da questo circolo vizioso? Karzai sbaglia se crede di poter contare solo sui Paesi della regione per superare le difficoltà attuali. Gli stessi Iran e Pakistan sono alle prese con situazioni di instabilità politica, violenza terroristica e un forte sentimento antioccidentale diffuso nelle forze armate. Possono offrire un collegamento con i talebani, ma di certo non una "road map" per la pace.
Bisogna dire che i ministri del governo afghano nella maggior parte dei casi non condividono la visione del mondo di Karzai e continuano a collaborare fattivamente con la Nato. Questo scollamento fra presidente e governo non può durare a lungo. Tuttavia, le voci di corruzione che aleggiano intorno alla famiglia Karzai e ad alcuni ministri creano non pochi ostacoli al coordinamento fra loro e, ancora di più, alla riconciliazione con gli Stati Uniti.
Il compito più importante della Nato è riesaminare quanto fatto in Afghanistan negli ultimi nove anni e smetterla di incolpare soltanto Karzai e gli afghani per il peggioramento della situazione. Le politiche degli Stati Uniti e della Nato devono essere più chiare, e i messaggi contraddittori devono finire. Se Karzai e la maggior parte degli afghani vogliono davvero parlare di pace con i talebani, l’impegno della Nato deve concentrarsi su questo.
Karzai non romperà con la Nato, ma un presidente non collaborativo, e non più semplicemente scontento, potrebbe offrire ai talebani proprio quella sponda che non riescono a ottenere sul campo di battaglia. Purtroppo le probabilità che il vertice di Lisbona, dove Karzai ha parlato, delinei un nuovo corso per affrontare una situazione sempre più complessa, sono tristemente scarse.