Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 20/11/2010, 20 novembre 2010
CONTRO IL CAPO SU FACEBOOK: LICENZIATI
Dipendenti di tutto il mondo attenzione! Utilizzare la propria pagina Facebook per esprimere giudizi critici sui superiori, anche in forma palesemente provocatoria, può essere giusta causa per il licenziamento.
Questa è almeno l’opinione del giudice del lavoro di Boulogne-Billancourt, alle porte di Parigi, che con la sua decisione ha stabilito un precedente giuridico che ha già scatenato discussioni e polemiche.
Tutto comincia una sera di dicembre del 2008, quando tre dipendenti di una società di engeneering di Boulogne, la Alten, si scambiano alcune battute su Facebook, con pagina aperta agli "amici". Il primo afferma di essere ormai entrato nel «club degli infami». E cioè, sembra di capire, nel gruppo di persone malvisto dal vertice dell’azienda. «Eh, no - ribatte una collega - troppo facile autoiscriversi al club. Per entrare c’è tutto un rito. Bisogna dimostrare sul campo di fregarsene dei rimproveri del proprio superiore. E poi fare in modo di rendergli la vita impossibile per dei mesi». «Solo così - scrive una terza dipendente di Alten - si conquista il diritto a far parte del club degli infami».
Purtroppo per i tre almeno uno degli "amici" che hanno accesso alle loro pagine Facebook molto amico evidentemente non è, visto che stampa il tutto e lo porta ai dirigenti della società. I quali decidono di licenziare i tre, invocando la giusta causa, per «denigrazione dell’azienda» e «incitamento alla ribellione del personale nei confronti della gerarchia aziendale».
Uno dei tre si accorda su una buonuscita, le altre due si rivolgono alla magistratura. Sostenendo che si trattava di frasi scherzose e denunciando a loro volta l’impresa per violazione della privacy.
Ieri l’attesa sentenza. Il giudice ha stabilito d’un lato che le frasi non possono essere ritenute umoristiche bensì tali da pregiudicare la prosecuzione del rapporto di lavoro, che non può non essere caratterizzato da fiducia e collaborazione reciproche. Dall’altro che essendo la pagina di Facebook condivisa in quanto aperta agli "amici", tra cui almeno una decina di altri dipendenti di Alten, non c’è violazione della privacy da parte dell’azienda perché lo scambio di opinioni è avvenuto con modalità che non rientrano nella sfera privata.
Essendoci quindi nella forma e nella sostanza ragioni reali e serie, il licenziamento per giusta causa è da ritenersi motivato.