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 2010  novembre 20 Sabato calendario

ALMENO FOSSERO FACILI QUESTE TASSE

Le statistiche non dicono sempre la verità. O almeno, non la dicono tutta. La graduatoria presentata dalla Banca Mondiale, che assegna all’Italia una pressione fiscale e contributiva al 68,6%, cioé 24 punti al di sopra della media europea, ricorda certamente che ci troviamo in piena emergenza. E che è tempo, come ha ricordato anche ieri la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, di una riforma fiscale che «scarichi il peso delle tasse da chi sta sul fronte, cioé lavoratori e imprese». Eppure, quella statistica della Banca mondiale non dice ancora tutta la verità.

Perché nel rapporto tra impresa e stato, tra lavoratori e stato, tra cittadini e stato non conta soltanto il «quanto» si paga ma anche – forse soprattutto – il «come» si paga. E se provassimo a corredare la classifica del prelievo con un immaginario indice di gradimento delle imposte, dei contributi e degli obblighi di legge, allora rischieremmo di scivolare ancora più indietro.

Per evitare equivoci, restiamo un attimo sul «quanto»: quel valore record nel gravare sui profitti si può leggere, semplificando molto, come la somma delle diverse percentuali stabilite per ogni prelievo. E non è detto che percentuali più basse si traducano automaticamente in un prelievo ugualmente basso: il confronto potrebbe essere allargato alla composizione della base imponibile, alle deduzioni, agli sconti in genere e questo finirebbe certo per modificare le posizioni in classifica. Di certo, se uno stato si colloca al 167° posto su 183 paesi ben difficilmente potrà sostenere di non essere esoso. In più, queste pesanti pretese si contrappongono a un sistema paese non sempre all’altezza, a servizi pubblici scadenti, a una burocrazia a dir poco assillante. Tutti elementi che rendono ancor più amaro il piazzamento in classifica. Ma il «modo» delle richieste non è affatto irrilevante.
E uno stato come il nostro, caratterizzato da norme fiscali incomprensibili e anche instabili, da un contenzioso sbilanciato in favore del fisco, da attuazioni faticose e sibilline, oltre a perdere la faccia finisce per rendere ancor più pesanti – in termini di costi occulti che imprese e cittadini devono sostenere – le pretese della pubblica amministrazione.
In più, questo sistema complicato e contraddittorio ha un altro punto debole sul quale vale sempre la pena riflettere. Perché un fisco complesso finisce per trasformarsi in una sorta di alibi a favore di chi cerca, e spesso in verità riesce, a dribblare i pagamenti, a evitare un obbligo, a trovare quelle scorciatorie che, alla fine, rischiano proprio di penalizzare il gettito e di trasferire sui meno scaltri il maggior peso della pressione fiscale e contributiva.
E non è tutto. Un sondaggio tra gli esperti del Sole 24 Ore ci segnala – si vedano gli articoli a fianco – che gli adempimenti più fastidiosi non sono necessariamente i più onerosi. L’obbligo di comunicazione relativo ai paesi black list (richiesto dal fisco), le rilevazioni per i sostegni al reddito (richieste dal sistema previdenziale) e lo zoppicante debutto del sistema Sistri per la tracciabilità dei rifiuti sono finiti ai primissimi posti nell’elenco dei doveri sgradevoli.
Colpisce il fatto che tutti questi adempimenti non siano legati – non direttamente, almeno – a scadenze di pagamento. Piuttosto, sono accomunati dal fatto di essere obblighi al debutto, di aver subìto rinvii e correzioni in corsa, di essere difficili da decifrare.
Si dirà: non è semplice trattare con una platea che spesso si rivela riluttante (evasori, sostenitori del sommerso, specialisti del cavillo). Vero. Ma questo non giustifica l’irruzione su due terzi dei profitti, le forzature dell’abuso di diritto, l’inaffidabilità nel rapporto con le amministrazioni. È la correttezza del rapporto che sembra essersi guastata. E il rimedio va trovato quanto prima.