Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 22/11/2010, 22 novembre 2010
MANO PESANTE CON I PAESI A RISCHIO
Quattro paesi, quattro crisi diverse. Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna spaventano però gli investitori allo stesso modo. Solo l’intensità del rischio è diversa; la paura è comune, quella dell’insolvenza.
Con quel che segue. Perché in un’Unione monetaria - si dice - non si può davvero pensare a un cordone sanitario che isoli i problemi: il pericolo di contagio è sempre forte. È per questo motivo che la Ue ha quasi costretto l’Irlanda ad accettare aiuti: Dublino sarebbe tornata a chiedere risparmi agli investitori solo a metà 2011, con una situazione forse migliore; ma le crescenti tensioni sui titoli del paese minacciavano anche i suoi "compagni di sventura". Una richiesta di aiuti dell’Irlanda «stabilizzerebbe la situazione», ha allora detto il vice presidente della Bce, Vitor Constancio, definendo con nettezza la questione.
Anche i politici europei hanno pensato che l’epidemia andava contenuta. Peccato però che siano stati proprio loro, con sovrana sventatezza, a evocare il peggio, a rendere attuali scenari dirompenti. «Siamo in una crisi di sopravvivenza, e se non sopravvivremo come Eurolandia, non sopravvivremo neanche come Unione europea» ha detto mercoledì il presidente della Ue Herman Van Rompuy (che ora dice di essere stato frainteso). A confronto con questa, qualunque altra ipotesi, tra quelle circolate in questi mesi - dall’autoespulsione di uno o più paesi "deboli", alla creazione di due monete comuni (euro-1 ed euro-2...) alla fuoriuscita della Germania - sembra poca cosa.
Quei titoli di Stato così disallineati, i decennali greci che rendono l’11,55% e quelli tedeschi il 2,68%, sembrano però lanciare davvero sinistri presagi. Un tempo non era così, le differenze erano minime... Ci si può chiedere però se l’errore non fosse stato fatto allora, quando tutti i gatti sembravano grigi, quando gli investitori si erano illusi che - in un’Unione monetaria - Berlino e Atene, Amsterdam e Lisbona fossero la stessa cosa. L’ipotesi è stata avanzata da Marco Annunziata, capo economista di Unicredit, quando però era appena iniziato il disallineamento dei rendimenti. Oggi le divergenze si sono ulteriormente allargate e non è facile capire se siano andate troppo oltre: ridurre a una scala di prezzi - il premio per il rischio, la distanza tra i rendimenti con il "punto di riferimento" tedesco - differenze di natura, può portare a conclusioni riduttive. Sono così sbagliate?
I mercati pongono i paesi europei su una scala precisa: la più rischiosa è la Grecia, i rendimenti dei suoi decennali sono stati, negli ultimi tre mesi, mediamente superiori a quelli tedeschi di 8,55 punti percentuali, con un record a 9,74. Il paese non appare credibile: ha più volte detto il falso sui conti pubblici e comunque non sembra ancora in grado di darne un quadro preciso. Il livello di deficit e debito - fonte prima dei suoi mali - è continuamente rivisto, segno che il rigido piano di austerity non mantiene le promesse. Ora occorre una nuova manovra da quattro miliardi di euro. E poi? Una volta risanati i conti statali, bisognerà rivitalizzare un’economia mai competitiva. Sarà dura.
A debita distanza, più lontano di quanto gli allarmi politici potrebbero far pensare, segue l’Irlanda. I suoi decennali hanno reso mediamente 4,31 punti in più dei tedeschi, anche se la situazione è peggiorata negli ultimi tempi: il massimo è stato di 6,82 punti e venerdì la differenza era ancora a 5,43 punti. Sulla carta la situazione potrebbe apparire persino peggiore di quella greca: il deficit è al 30% del Pil, il debito sale rapidamente, il governo sembra allo stremo. Il motore dell’Irlanda è però sano - come i conti pubblici prima della crisi - l’economia è rimata competitiva e non mancano segnali di ripresa. Lo sforzo finanziario è concentrato sul salvataggio del sistema bancario, collassato per la grande massa di mutui privati incagliati: i prezzi delle case sono crollati. La sfiducia del settore finanziario verso l’Irlanda sembra quasi una sfiducia verso se stesso, la consapevolezza di quanto possa essere vulnerabile un sistema creditizio sotto stress...
Il Portogallo non è molto lontano dall’Irlanda. Il mercato gli assegna un "prezzo per il rischio" medio di 3,78 punti, con un massimo a 4,93. Qui il problema è, di nuovo, la politica: le incertezze per la tenuta del governo di minoranza, guidato dai socialisti, che è riuscito ad approvare il budget 2011 solo grazie all’astensione del partito socialdemocratico all’opposizione. È probabile che la strada del risanamento sarà accidentata, soprattutto se la ripresa - che si è già manifestata - dovesse arenarsi.
Ultima tra i deboli, la Spagna "paga" in media 1,81 punti in più della Germania, non molto più dell’Italia (1,49) considerata più solida perché poco esposta con l’estero. Come Dublino, Madrid aveva prima della crisi pochi debiti e conti in surplus. Anche qui i mutui dei privati si sono rivelati insostenibili dopo lo scoppio della bolla immobiliare. Una "cattiva flessibilità" sui mercati del lavoro ha fatto poi esplodere disoccupati e sussidi, che pesano sul bilancio pubblico. Le sue banche hanno però resistito un po’ meglio di quelle irlandesi.
È così assurda questa graduatoria? Si può discuterne, si può criticarne l’esasperazione dei giudizi, ma non sarebbe impossibile argomentare che gli investitori abbiano visto giusto. Il problema è che il mondo si muove. Cosa accadrà domani? I mercati finanziari, prociclici, hanno fama di esasperare le tendenze, invece di correggerle; e spesso sono agitate da profezie che si autoavverano. L’incertezza, insomma, è tanta; e la politica, si è visto, non aiuta.