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 2010  novembre 22 Lunedì calendario

UN SEGRETO AMERICANO PER IL RE DEI PROFUMI

Che cosa c´è di più sexy e sofisticato di uno Chanel n.5? E che cosa c´è di meno sensuale e sofisticato di Hoboken? Il paesone del New Jersey che si affaccia di fronte a New York è da un secolo lo sfottò delle elites di Manhattan. E certo non aiuta aver battezzato, oltre a quel teppistello di Frank Sinatra, quel film che non assoceresti neanche sotto tortura a un profumo: "Fronte del porto". Eppure uno dei segreti meglio custoditi dell´eau de perfume più famosa del mondo è nascosto proprio qui: in riva all´Hudson e non alla Senna. Perché a Hoboken, in quel New Jersey mica per niente oggi famoso per il reality supercafone "Jersey Shore", che per anni fu prodotto e confezionato il profumo che i signori del bel mondo pensavano arrivare da Paris, France.
La storia a volte si prende beffa delle migliori intenzioni. E la migliore intenzione di Coco Chanel era creare il profumo più sofisticato di tutti i tempi. Peccato che la storia si sia presa beffa anche di lei scippandola di quella sua creazione per definizione eterea. Perché Chanel non è di Chanel. La stilista vendette nel 1924 il suo profumo agli industriali francesi Paul e Pierre Wertheiner. E per tutta la vita cercò disperatamente di rientrarne in possesso. Senza fortuna.
Che storia intensa e meravigliosa può essere quella di un profumo. "Che cosa indosso a letto? Chanel n.5, naturalmente", provocava Marilyn Monroe. Racconta ora Tilar J. Mazzeo nel suo "The Secret of Chanel n. 5" che Coco aveva concepito quel gioiello "come una moderna opera d´arte e di astrazione". Che cosa voleva dire? All´epoca, all´inizio degli Anni 20, le fragranze dei profumi si rifacevano soprattutto a due tipi di fiori: rosa e gelsomino. La rosa era per le signore rispettabili. Il gelsomino per le donne di spettacolo e società. "Io voglio donare alla donna un profumo artificiale" scrive Coco in quegli anni di euforia modernista e civiltà delle macchine. "Artificiale come un vestito: qualcosa creata appositamente. Non voglio un profumo di rosa o di lillà: voglio un profumo che sia una composizione".
Coco, di mestiere, era nata sarta, e grazie al suo genio aveva trasformato un negozietto parigino in un piccolo impero. Ma per dedicarsi ai profumi ci voleva un esperto. E qui entra in campo un signore con un nome che è un programma, Ernest Beaux, Ernesto Bellezze. Un genio che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Si può realizzare un profumo a Mosca e chiamarlo Catherina La Grande alla vigilia della Rivoluzione Bolscevica?
Fortunatamente l´Eau de Catherine, con una serie di accorgimenti guidati dalla stessa Coco, diventò Chanel. Un po´ rosa e un po´ gelsomino, per una donna rispettabile ma per niente disdegnosa della società. E, soprattutto, tanti aldeidi: cioè quelle molecole che diedero al profumo il carattere artificiale che la signora inseguiva. Non restava che battezzare il capolavoro. Dice la leggenda che il bravo Beaux presentò alla stilista ben dieci declinazioni e che Coco alla quinta si disse soddisfatta. Ma Tilar Mazzeo sostiene che "5" era per la signora un numero magico: un "talismano speciale" per riconnettersi con la buonanima del suo fidanzato Arthur Boy Capel tragicamente morto in un incidente.
Amore e morte: proprio come nei romanzi. E guerra. Perché non solo i francesi furono costretti a trasferire la produzione in America durante l´occupazione di Parigi, mentre Coco dimenticava il suo Boy tra le braccia di un gerarca tedesco. Ma furono proprio i soldati americani a importare negli Usa quel profumo allora di moda solo sulla Senna. Che ne sapevano, i poveretti, che l´eau de Paris veniva inscatolata nel loro New Jersey.