Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 22 Lunedì calendario

3 articoli - GLI ETERNI LATITANTI - Prenderanno prima lui o prenderanno prima lui? Diabolik o Capastorta? Il custode dei segreti di Corleone o il re del cemento? L´erede di una tradizione o il guappo che si è fatto da solo? Così diversi e così uguali, sono loro i ricercati d´Italia

3 articoli - GLI ETERNI LATITANTI - Prenderanno prima lui o prenderanno prima lui? Diabolik o Capastorta? Il custode dei segreti di Corleone o il re del cemento? L´erede di una tradizione o il guappo che si è fatto da solo? Così diversi e così uguali, sono loro i ricercati d´Italia. Addosso si sentono il fiato degli sbirri, il ministro dell´Interno ha già praticamente annunciato la loro cattura. Sono gli ultimi, Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria. Prenderanno prima lui o prenderanno prima lui? Uno fa il filosofo e intanto porta da solo il peso di quella che fu la mafia più potente del mondo, l´altro è pragmatico e a volte sembra quasi lui il siciliano, circospetto, che si raccomanda ai suoi di non fare rumore e di pensare solo agli affari. «Mi ricorda tanto Bernardo Provenzano che voleva il silenzio dopo le stragi», dice il procuratore Pietro Grasso. Uno viene dalla storia del crimine e ha quattro quarti di nobiltà mafiosa, l´altro viene dal niente e da nessuno. Tutti e due probabilmente hanno una faccia che con la plastica non è più la loro faccia, tutti e due forse tirano «piste» di coca, tutti e due si nascondono a casa loro, Matteo a Castelvetrano e Michele a Casapesenna. Il primo è nato il 26 aprile del 1962 ed è latitante da diciassette anni, il secondo è nato il 21 maggio del 1958 ed è latitante dal 1995. Fantasmi. Fantasmi che tutti sfiorano fra le vigne basse e i templi di Marinella di Selinunte o fra i campi che trasudano veleni dell´agro aversano, che tutti temono e riveriscono o - nel caso di Matteo - venerano alla stregua di una divinità. Come dio. Proprio lui, un impasto fra antico e moderno che dopo tanti santini e madonne e crocifissi sparsi intorno ai padrini, si è svelato ateo e agnostico infarcendo con citazioni di Amado e Pennac le sue colte lettere a Svetonio, alias Tonino Vaccarino, un ex sindaco ingaggiato dai servizi segreti per intrappolarlo o forse solo per tenerselo buono. Uno e l´altro e le loro ossessioni. Quella del casalese è la segretezza (proprio come i Corleonesi!) e raccontano che si avvalga di un vero e proprio «centro di controspionaggio» per neutralizzare cimici e spiate. Confessione del pentito Emilio Di Caterino: «Quando lo incontrai due o tre volte, raggiunsi il luogo dove Zagaria mi aspettava chiuso dentro il bagagliaio di un´auto». E un altro, Luigi Guida, che aveva ricevuto lo stesso trattamento - il cofano di un´utilitaria - offesissimo se ne lamentò con i compari: «Ma sono un boss pure io». Quella del trapanese è sulla propria esistenza, sul passato e anche sul futuro: «Ormai sono gli altri a parlare di me e magari ne sanno più di me medesimo, ma va bene così, è tutto scritto, un uomo non può cambiare il proprio destino, in fondo questo mondo non è mio e prima o poi passerà anche questa vita». Soprannomi. Tre per Matteo: Diabolik perché è avido di quei fumetti con l´ispettore Ginko che a un passo da lui perde sempre; U´ Siccu perché da ragazzo era asciutto e tirato come un chiodo; Testa dell´Acqua perché è sempre stato un capo. Uno solo per Michele: Capastorta. Ma quando i suoi uomini parlano fra loro, lo chiamano «iss´» e ogni tanto anche «lo zio». Della vita privata di Michele si conosce poco, ufficialmente è single anche se girano voci di una relazione con un´insegnante delle sue parti. Dell´altro, si sa quasi tutto. Matteo ha una compagna ufficiale che si chiama Franca Alagna e dalla quale il 17 dicembre del 1995 ha avuto una bimba, Lorenza, che vive con la famiglia di lui. Ma fra i suoi amori ci sono anche Maria Mesi e poi Sonia M., una ragazza di Mazara del Vallo. A lei, Sonia, ha spedito l´ultima lettera prima di scomparire: «Devo andare via e non posso spiegarti ora le ragioni di questa scelta». Tanto è riservato e lontano dagli stessi suoi fedelissimi Michele Zagaria - è un uomo misterioso anche per loro, imprendibile - e tanto è pubblica l´intimità di Matteo Messina Denaro. E pure il resto. La passione per i vestiti Armani e Versace, la sua mania per i videogiochi (Donkey Kong 3, Secret of Maya 2) e per i Rolex Daytona, per i Rayban a goccia e per le Porsche. Di lui sappiamo persino le sigarette che fuma: Merit. Di Michele sospettano che si sia rintanato come un topo nel ventre di Casal di Principe o di qualche altro paese del suo piccolo grande regno, di Matteo conosciamo case rifugio ad Aspra e a Bagheria, a Trapani, a Paceco e anche una villa a Forte dei Marmi dove - nel 1993, l´anno delle stragi di Firenze e Milano - era con i fratelli Graviano di Brancaccio a prendere bagni di sole prima degli attentati. Omicidi e bombe e trattative per Diabolik, soldi a palate per Capastorta. «Con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero», ha confidato Matteo a un amico. «Non fate troppi casini», ha intimato Michele ai Setola che sparavano all´impazzata e non la smettevano mai. Il siciliano sa molto delle stragi del Nord (è stato condannato anche per i morti dei Georgofili), l´altro sa tutto quello che deve sapere su strade e ponti, ecoballe e rifiuti e calcestruzzo. Matteo ha i suoi prestanome nei supermercati e nel business dell´ambiente - eolico soprattutto - Michele è uno dei più grandi imprenditori edili da Roma in giù ma muove terra e getta cemento anche in Emilia e in Toscana. Michele, di riffa o di raffa, controlla o condiziona le pubbliche amministrazioni dei suoi territori, Matteo ha avuto in lascito i legami antichi con la politica siciliana. Suo padre Ciccio era campiere dei D´Alì di Trapani - la famiglia dell´ex sottosegretario all´Interno, il senatore Antonio D´Alì - ha percepito pensione Inps da un milione e 200 mila lire al mese durante tutta la latitanza, ha tramandato al figlio (insieme a Totò Riina) carte e informazioni per ricatti o trattative prossime venture. Per la polizia il casalese è «il latitante italiano più pericoloso», per la celebre rivista americana Forbes il trapanese è al quinto posto nella top ten dei ricercati nel mondo. Al primo, per ora, c´è Osama bin Laden. «Matteo, dove sei?», gli chiede dai microfoni di Radio Rmc 101 ogni mattina e da anni Giacomo Di Girolamo, un giovane cronista di Marsala che ha appena scritto L´invisibile, un libro dove a Matteo gli dà del tu. Gli parla da vicino: «Io ti scrivo Matteo, ti racconto i frammenti della tua vita, che è un po´ anche la mia..». Un giornalista che si rivolge a Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria che si rivolge ai giornalisti. Fu quando lui e Antonio Iovine chiamarono Carlo Pascarella subito dopo l´arresto di Francesco Schiavone Sandokan, e minacciosamente gli spiegarono «che non c´era competizione fra loro due». È la mafia che «comunica», non come quell´altra dei mammasantissima che se ne stavano sempre zitti, chiusi nel loro mondo. Quello di Matteo e di Michele è diventato anche il nostro mondo. Con tutte le favole o le leggende di contorno. Come quella su Michele che tiene una tigre al guinzaglio quando qualcuno è al suo cospetto (così ha raccontato una certa Immacolata Capone che ricordava «di avere sentito un ruggito di belva») o come quell´altra, recentissima, di una molto sospetta fonte carceraria che ha riferito ai carabinieri della presenza - lo scorso maggio - di Matteo in tribuna d´onore allo stadio della Favorita di Palermo durante una partita di serie A. Minchiate che alimentano i miti, che confondono e non ci restituiscono loro, Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria, per quello che sono e per quello che fanno. Uno ha perso tutti o quasi tutti i suoi fiancheggiatori, l´altro vaga solitario in una Sicilia che lo sbatte insolentemente sui muri con murales alla Andy Warhol o lo celebra a ritmo di rap: «In questa cosa sono il messia come Matteo Messina Denaro/ tu sei un flop, un babbeo, una figa e un baro/ e prendi un tot di mazzate se ti ho sotto mano/ e per questo noi siamo la gang e tu sei una gag...». Due vite apparentemente distanti ma contemporanee, fatte con il sangue e sul sangue, accomunate dai consueti commerci e intrecci - gli appalti per la Tav o per il nuovo carcere o per la base radar della Nato, quelli di competenza di Michele; rapporti con trafficanti venezuelani, mercanti d´arte, venerabili massoni, quelli di Matteo - all´ombra dei potenti di turno. In Campania. In Sicilia. A Roma. Quasi coetanei, Matteo e Michele erano partiti insieme e insieme sono arrivati al capolinea. Giovani vecchi boss. Come scrivevamo all´inizio, sono gli ultimi. Gli ultimi di quelle consorterie che hanno spadroneggiato per l´Italia con le armi in pugno. Il loro tempo è finito. Se poi la mafia o le mafie, come assicura il ministro Maroni, saranno sconfitte con questi arresti lo vedremo. Magari ne parleremo fra un po´, quando scopriremo chi arriverà dopo di loro. Dopo Matteo e dopo Michele. "NÉ MOGLIE NÉ USCITE PUBBLICHE MA VIVE ANCORA NEL SUO PAESE" - «Diabolik» non è più inafferrabile. Ma certo la cattura di Matteo Messina Denaro «è difficilissima, sicuramente più ardua rispetto a quella di altri boss». E il perché lo spiega in pochi punti Teresa Principato, procuratore aggiunto della Dda palermitana che si occupa delle indagini sull´ultimo capo della mafia ancora in libertà. Il magistrato, con la prudenza di rito in una fase delicata della ricerca, traccia un profilo di Messina Denaro. Qual è il tratto distintivo di Messina Denaro? «È uno dei mafiosi più amati all´interno dell´organizzazione, stimato nelle altre province anche perché, di norma, preferisce evitare di dare la morte. Una caratteristica non comune, anche se - dalle stragi in poi - questa appartiene pure ad altri esponenti di Cosa Nostra. Matteo Messina Denaro ha anzitutto l´abitudine alla latitanza, acquisita dal padre Francesco che sfuggì alla giustizia per molti anni. Ed è abile nell´usare sistemi di comunicazione anonimi». In primo luogo i "pizzini", come Bernardo Provenzano. «Ha sviluppato una capacità nell´evitare i metodi di comunicazione più usuali. Non usa telefoni o fax ma si serve, come verificato attraverso le perquisizioni a Montagna dei Cavalli, dei "pizzini". Utilizzando, per la trasmissione dei messaggi, una catena di personaggi che mutano di volta in volta». E poi c´è una fitta rete di fiancheggiatori. «Decine, ad ogni livello: ci sono mafiosi, esponenti della borghesia, imprenditori che lo aiutano a sottrarsi alla ricerca delle autorità. Come dimostrato dalle operazioni che la mia procura ha condotto. L´ultima, in primavera, ha portato in carcere anche il fratello del boss». Dopo quella retata si disse che la cattura di Matteo Messina Denaro fosse vicina. «Man mano che si riduce l´humus in cui si svolge la latitanza di un mafioso, il cerchio sembra stringersi. Ma Messina Denaro ha molte risorse. Cattura imminente? Queste affermazioni lasciamole ai politici». EMANUELE LAURIA "È IL PIÙ AMATO DAI PICCIOTTI PER QUESTO CONTINUA A SFUGGIRCI" - «Michele Zagaria è una persona che si mostra pochissimo all´esterno. Quando si muove adopera accorgimenti quasi maniacali. Non usa cellulari. Si avvale di una rete molto ristretta di persone spesso insospettabili e così mantiene i contatti con l´organizzazione». Da quindici anni esatti Federico Cafiero de Raho, coordinatore del pool della Procura che indaga sul clan dei Casalesi, dà la caccia a Zagaria. Procuratore, la lunga fuga del padrino può essere stata agevolata dal fatto di non avere moglie né figli? «Sicuramente questo può averlo aiutato perché i familiari rappresentano uno dei contatti per arrivare alla cattura del latitante. Una strada che, con Zagaria, non è percorribile. Ma ce ne sono altre, per fortuna». Il boss è stato sempre a Casapesenna? «Non sempre, ma il collegamento con il territorio è fondamentale per conservare quel ruolo di capo che lui ricopre ormai da un ventennio occupandosi soprattutto della struttura economica dell´organizzazione». È vero che nel suo covo tiene al guinzaglio una tigre? «Questa è una dichiarazione che non è mai stata riscontrata. Adopera sistemi più efficaci». Ad esempio? «I suoi contatti con altre persone sono rarissimi. Quando avvengono i suoi interlocutori devono viaggiare nel cofano di un´auto oppure cambiare vettura diverse volte durante il tragitto. In più, dispone di strumenti sofisticati per rilevare la presenza di microspie. La rete di complicità, oltre ad avere maglie strettissime, è mutevole ed è composta da poche persone». Anche Zagaria, come altri latitanti, si dà alla bella vita? «Le modalità che usa per muoversi sono tali da rendere impossibile qualsiasi forma di bella vita». Secondo le nostre indagini, durante la latitanza è stato anche all´estero? «Sì, è capitato. Ma per affari, non per divertimento». DARIO DEL PORTO, la Repubblica 22/11/2010;