Fosca Bincher, Libero 20/11/2010, 20 novembre 2010
MARONI DA SAVIANO L’ELENCO NON BASTA
Roberto Maroni a “Vieni via con me” può essere una vittoria. Ma anche una trappola diabolica. È un successo il fatto che il servizio pubblico sia passato dalla tracotanza del Loris Mazzetti del primo giorno all’invito condizionato al ministro dell’Interno partito ieri dal direttore di Rai Tre, Paolo Ruffini sembra su richiesta di uno dei conduttori del programma, Fabio Fazio. A dire il vero se dalla tv di Stato si lanciano accuse pesanti e non provate come quelle di Roberto Saviano sul coinvolgimento con la ’ndrangheta di un partito la Lega Nord e sul comportamento di un ministro dell’Interno, il diritto di replica sarebbe la regola in qualsiasi luogo del mondo.
Qui è stato interpretato grottescamente come un sopruso alla creatività artistica dello scrittore di Gomorra e degli autori della trasmissione, per cui c’è voluta una lunga trattativa e una serie di paletti per assicurare un ovvio diritto. Ed eccola qui la trappoletta: a Maroni è stato concesso un passaggio nel programma che fa grande ascolto solo a patto che stia alle regole dei creativi: il conduttore ha libertà artistica di accusa, lui può leggere solo un breve elenco, compatibile con i tempi della trasmissione: due o tre minuti. Per replicare Maroni
potrebbe leggere i nomi dei boss della mafia e della camorra arrestati da quando lui è ministro. Probabilmente è proprio questo l’elenco che gli autori sono disposti ad assegnargli. Gli ascoltatori non ascolterebbero un solo nome, si addormenterebbero e magari farebbero zapping con il telecomando: va a finire che magari lunedì Via con me cala negli ascolti e il colpevole è già lì bello e pronto: Maroni. Signor ministro, farebbe bene a tirare lei uno scherzetto a Saviano e compagnia bella.
Dica di accettare le loro condizioni, si presenti lì con un foglietto da bravo scolaretto, ma quando si accendono le luci, lo butti via. E si prenda il monologo a cui ha diritto, tale e quale quello di Saviano. Né più lungo né più corto. Magari si finga Sandokan e lo guardi negli occhi come pare tema lo scrittore (guardare negli occhi secondo lui sembra sia atteggiamento mafioso). E parli come fosse Sandokan. Racconti a Saviano che forse non lo sa o se lo è dimenticato che lei era sì il terrore dei casalesi. Ma che un giorno la catturarono. Sa chi era presidente del Consiglio? Giulio Andreotti, il capo dei capi della mafia secondo il teorema giudiziario di Palermo. Quel giorno Sandokan pensò davvero di essere finito. Ma poi per fortuna è arrivata l’epoca dei padri della patria e della Costituzione. Quell’anno in cui Oscar Luigi Scalfaro tuonava dalla presidenza della Repubblica “Non ci sto”, Carlo Azeglio Ciampi guidava il governo e Giovanni Conso era ministro della Giustizia. Con i padri della patria, della Costituzione, i riferimenti ideali del Pd e di Futuro e Libertà Sandokan fu restituito a casa in libertà vigilata, e si diede alla macchia. Questo accadeva in quegli anni, e altro è accaduto negli ultimi due. Allora sì, Maroni, spieghi a Saviano cosa è fare al lotta alla mafia davvero.
Gli racconti le minacce ricevute, gli ostacoli trovati sulla strada, come è cambiata la sua vita di boss in boss acciuffato. E chieda allo scrittore perché dopo avere concionato la settimana prima sulla macchina del fango, se ne è messo imperiosamente alla guida strologando di Gianfranco Miglio e spargendo fango e ‘ndrangheta sulla Lega Nord. Racconti e chieda, invece di leggere noiosi elenchi. Ma ne tenga davvero uno in tasca, e se lo prepari bene in questo week end. Se le tapperanno la bocca, tiri fuori il foglietto e legga in fretta: «Fabio Fazio, due milioni di euro Rai a stagione. Lo stipendio di una fabbrica di media grandezza. Roberto Saviano, 80 mila euro lordi a puntata (stipendio anno di un quadro)...». Vedrà, gli italiani staranno ben svegli. E lo zapping è escluso.