22 novembre 2010
I GIOVANI NEI CAMPI, PER VOCEARANCIO
La storia di Max Skinner, il protagonista di "Un’ottima annata" (libro di Peter Mayle, del 2004, interpretato da Russel Crowe per Ridley Scott, nel 2006): broker di Borsa londinese rimasto senza lavoro va in Provenza dove uno zio morto gli ha lasciato una tenuta con vigneto in eredità. Riscopre i veri piaceri della vita (anche grazie a più di una donna), si innamora dei campi. Un emblematico scambio di battute: "Fanny, questo posto non si adatta alla mia vita" dice lui alla bella proprietaria del bistrot del villaggio provenzale; "No, è la tua vita che non si adatta a questo posto" gli risponde lei.
Il 14 novembre era domenica e la Chiesa celebrava la "giornata del Ringraziamento". E’ il giorno in cui i fedeli ringraziano Dio "al termine della stagione dei raccolti". Negli anni Cinquanta lavoravano nei campi quattro italiani su dieci e alla fine dell’estate il "com’è andato il raccolto" era davvero quello di cui si chiacchierava nelle osterie d’Italia. Oggi sono contadini meno di quattro italiani su cento, l’agricoltura ha 874 mila addetti in tutto (90 mila sono immigrati) vale l’1,6% del Pil e nei bar di raccolti non ne parla nessuno.
Al convegno "Sos per l´agricoltura, il paesaggio, l´ambiente: destino comune" organizzato il 18 novembre all’Università di Bologna da Fai, Wwf e Associazione per l´agricoltura biodinamica sono stati diffusi i numeri dell´abbandono. Tra il 1990 e il 2000 la superficie agricola utilizzata ha perso 1.839.000 ettari, un´area grande quanto il Veneto.
Ogni anno un volume di cemento ampio come piazza San Pietro e alto come l´Everest va a coprire le zone verdi. In undici anni è stata cementificata una superficie pari all´Umbria. Mentre strade, ville e condomini conquistavano il 60 per cento delle pianure, il settore agricolo ha dovuto affrontare la peggiore crisi dal dopoguerra: negli ultimi dieci anni il prezzo dei cereali è diminuito del 55% mentre i costi aumentavano del 33% e quello del latte è diminuito del 30% mentre i costi aumentavano del 21%. Negli ultimi anni le imprese agricole si sono ridotte del 26%.
La situazione dei campi italiani non è in realtà molto diversa da quella del resto dell’Occidente. E al Papa questa realtà non piace. Benedetto XVI lo ha detto chiaramente all’Angelus nella giornata del Ringraziamento. Davanti al dramma della fame nel mondo il Ponteficie ha chiesto "una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale", ha aggiunto che "appare decisivo un rilancio strategico dell’agricoltura", si è compiaciuto dei "non pochi giovani hanno già scelto questa strada".
Le frasi regalate dal Papa a una Piazza San Pietro affollata di contadini sono state esplicite. "Il processo di industrializzazione ha talvolta messo in ombra il settore agricolo" e se l’agricoltura ha tratto "a sua volta beneficio dalle conoscenze e dalle tecniche moderne", in realtà "ha comunque perso di importanza, con notevoli conseguenze anche sul piano culturale". Però
"diversi laureati tornano a dedicarsi all’impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche ad un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune". Perché la vita del contadino
è fondata su "valori perenni": "L’accoglienza, la solidarietà, la condivisione della fatica nel lavoro".
A qualcuno forse troppo preso dalle faccende di città tutti questi giovani innamorati dei campi possono essere sfuggiti. Chi segue le vicende dell’agricoltura, chi si interessa delle eccellenze dell’alimentare italiano li aveva già notati. Comunque dopo la giornata del Ringraziamento i giovani agricoltori italiani sono stati bene in mostra sulle pagine dei giornali.
Sono giovani come Olimpia Roberti, romana, discendente di una famiglia di avvocati da generazioni. Si laurea in giurisprudenza a Milano ma ha un rigetto per la città, l’inquinamento, i ritmi frenetici, la competizione. A 25 anni va nel casale di famiglia a Montepulciano, compra altra terra e apre l’azienda San Gallo. Oggi ha 35 anni, 8 ettari, un agriturismo, e produce ogni anno 45 mila bottiglie di qualità. «Ho solo due dipendenti, perché siamo un’azienda piccola, quindi lavoro anche io, faccio proprio la contadina».
Gli imprenditori agricoli che hanno meno di 35 anni, secondo i calcoli di Coldiretti Giovani Impresa, sono centomila. Racconta il loro presidente, Vittorio Sangiorgio, salernitano di 27 anni che ha diversificato l’attività del vivaio dei genitori e sfrutta la bioediliza per migliorare il rendimento termico degli edifici: "Quelle dei giovani sono le aziende agricole che rappresentano la componente più dinamica dell’agricoltura italiana e rispetto al passato si segnala l’ingresso di giovani provenienti da famiglie, attività e studi extragricole in percentuale maggiore".
Quelle dei giovani sono imprese che hanno una superficie superiore alla media del 54% (9,4 ettari contro 6,1), un fatturato più elevato del 75% (18.720 Euro rispetto alla media nazionale di 10.680) e il 50%di occupati per azienda in più. Poi le giovani leve della campagna hanno una maggiore propensione al biologico (3,7% contro una media al 2,1%), ma incontrano qualche difficoltà nell’acquisto del capitale terra che solo nel 54% per cento dei casi è in proprietà rispetto al 74% medio. E ci sono sempre i giovani dietro all’abbinamento sempre più frequente tra agricoltura-turismo e tra agricoltura-attività sociali.
Carlo Petrini, di Slow Food, quest’anno ne ha portati molti al Salone del Gusto di Torino. Quelli di Slow Food chiamano la generazione dei giovani contadini Generazione T, dove la T indica la terra che si lavora ogni giorno e anche la Terra alla quale si vuole dare un futuro. Racconta Petrini: "Sono sempre meno rari i casi di nuovi contadini, giovani, che attuano un’agricoltura rispettosa degli ecosistemi e che mettono in pratica forme di commercio originali per andare incontro ai cittadini. Usano Internet e vanno a vendere in città, nei mercati. Hanno studiato e continuano a studiare per rendere le loro produzioni migliori, sia dal punto di vista qualitativo sia in termini ambientali, facendo tesoro della tradizione ma con tanta creatività e spirito d´innovazione. Si può dire che siano i nuovi intellettuali della terra, gli ultimi baluardi che difendono il buono e il bello che sa generare il nostro Paese".
I begli esempi non si contano. Prendete la trentenne Loretta De Simone, di Tarquinia, premiata come giovane agricoltore più innovativo d’Europa nel 2008 perché ha brevettato un grano speciale, alto un metro e ottanta, dal quale ricava una pasta che fa impazzire tedeschi e austriaci. O Fabio Panchetti di San Miniato, 44 anni, che ha recuperato ortaggi scomparsi come il pomodoro grinzoso, il carciofo sanminiatese e pure l’aceto medievale “agresto” che vende insieme a confetture e salse in Usa, Inghilterra, Norvegia e Belgio.
Grazie all’Eye, l’Erasmus dei giovani imprenditori, molti ragazzi europei vengono in Italia per imparare i segreti dei nostri campi. La danese Lise Charlotte Bertram ha messo in piedi un’azienda vitivinicola nel territorio delle Cinque Terre, adottando tecniche di coltivazione a basso impatto ambientale che l’hanno portata a recuperare a vigneto terreni incolti e a rischio erosione. L’imprenditrice ha restaurato chilometri di antichi muretti a secco, mentre in un antico fabbricato sono stati realizzati la cantina e il punto vendita per la commercializzazione del vino.
Certo, non è una vita facile. Racconta Riben Lazzoni, che fa formaggi di capra in Val d’Aosta: "Sono nato in città ma a 18 anni sono andato da un pastore in montagna per imparare a fare il formaggio. Da 6 anni ho una terra mia: sei ettari, pagati 20 mila euro l´uno perché queste sono ormai zone marginali. Pago il mutuo ma adesso il reddito c´è. Preparo il formaggio fresco, dalle robiole ai tomini, e soprattutto il Chevrier, stagionato per sei mesi in una grotta naturale, ogni forma sotto un sasso. I miei amici che vendono il latte di capra prendono 0,80 euro al litro. Il mio stagionato lo consegno ai negozi a 15 euro al chilo". Due ore di mungitura a mano dalle 6,30 del mattino, altre due ore dopo le 18,30. «In casa non abbiamo la tv, non avremmo tempo di guardarla. Per i bimbi ho un lettore dvd».
O sentite Mauro Olivero, di Genola, 33 anni, allevatore e responsabile del presidio Slow Food della vacca di razza piemontese: «Sono fortunato perché la terra l´avevano già mio padre e mio nonno. Ma con 200 capi da carne, fra vitelle e castrati, avrei bisogno di altro terreno. I prezzi sono altissimi. In affitto, per una giornata (un ettaro è pari a 2,62 giornate, ndr), vogliono 400 euro all´anno. Per l´acquisto, almeno 50 mila euro a giornata. E c´è un continuo rialzo, anche a causa degli impianti fotovoltaici. Ci sono padroni di terra che non sono contadini che affittano quelli che erano campi di mais e grano a chi fa business con le energie alternative e in cambio ricevono 1.800 euro a giornata. Com´è possibile competere?».
Spesso i soldi sono quelli che sono. Nel 2009 le aziende agricole nel loro complesso hanno perso il 25 per cento del loro reddito. L’Istat calcola che nel 2007 il fatturato medio di una impresa agricola non arrivava a 40 mila euro. Tolti 16 mila euro di costi intermedi e altri 3 mila di costo del lavoro rimane un margine di una ventina di migliaia di euro.
E a frenare gli entusiasmi di questi giovani che vogliono fuggire dalla città ci pensa una burocrazia soffocante. Soltanto l’apertura della partita iva e l’iscrizione al registro delle imprese e all’Inps portano via un totale di 13 giorni. I bandi dei Piani di sviluppo rurale (Psr) per l’insediamento dei giovani in agricoltura escono solitamente dopo 120 giorni dall’approvazione dei Psr stessi. Dopo è possibile presentare la domanda, che impiega però 60 giorni per essere recepita, più altri 260 perché venga completata l’istruttoria. Il decreto che dà il via libera materiale alle misure per l’insediamento dei giovani viene in genere emesso dopo circa un anno, e altri 90 giorni serviranno per accedere al credito. In totale fanno circa due anni e mezzo per poter avviare l’attività.
E’ difficile, sì. Però pochi vi diranno che non ne vale la pena. Renata Madaio, 27 anni, dell’azienda Madaio di Eboli, che produce formaggi di pecora anche "profumati" che stagionano nella grotte un tempo occupate dai briganti: "Il momento più bello? E’ in quelle grotte, quando giro i formaggi e li avvolgo nelle erbe. Mi sembra di curare un bambino".