Diego Gabutti, ItaliaOggi 20/11/2010, 20 novembre 2010
Vespa è odiato perché non fa gli errori di Ginsborg - Paul Ginsborg, che nel suo ultimo libro, Salviamo l’Italia, Einaudi, 10 euro, pp
Vespa è odiato perché non fa gli errori di Ginsborg - Paul Ginsborg, che nel suo ultimo libro, Salviamo l’Italia, Einaudi, 10 euro, pp. 136, scrive che la repubblica italiana è nata nel 1948 e non nel 1946, è considerato uno storico professionista, mentre Bruno Vespa, che da anni tiene aggiornato, in buona lingua e senza svarioni, il libro della storia italiana corrente, un titolo all’anno, certi anni di più, è considerato meno d’un dilettante. È un autore di «pessimi best seller», compreso l’ultimo, Il cuore e la spada, Mondadori, pp. 850, 22 euro. Peggio: è un agit-prop berlusconiano. Da noi l’intellighenzia non è tenuta a sapere qualcosa, come ovunque nel mondo, escluse soltanto le repubbliche socialiste e quelle islamiche. Nei paesi civili, oltre cioè i nostri confini, gl’intellettuali scrivono libri, hanno opinioni magari discutibili però interessanti; sono informati, all’occorrenza pettegoli, divertenti e divertiti; sono curiosi, intervistano i protagonisti delle loro storie, leggono libri, chiamano Tizio al telefonino o con Skype, mandano un’email a Caio e consultano intere annate di giornali. È quel che fa Vespa, sembra di capire, quando scrive uno dei suoi libri annuali che rendono conto dell’evoluzione politica del paese senza particolari devozioni (qualunque cosa ne dicano i colleghi e i comici televisivi, nessuno dei quali, specie i colleghi livorosi, ha l’aria d’essere un gran lettore). Gli altri storici, devotissimi, ricorrono sistematicamente a Wikipedia e all’improvvisazione ideologica. Da noi l’intellighenzia non è neppure tenuta a essere (e nemmeno a sembrare) intelligente. A che serve un Q.I. troppo alto? Stalin e Adolf Hitler, ai tempi, diffidavano degl’intelligentoni. Sono intelligenti gli ebrei, e i kulaki sono dei furbastri, pensavano, mentre invece il popolo è bue, non fa storie, lascia lavorare senza discutere i padri dei popoli e dei Reich millenari. Da noi l’intelligenza storica e anche soltanto il buon giornalismo (per esempio i libri di Vespa) sono guardati con sospetto da quello che per una breve stagione, all’inizio del millennio, si era autodefinito «ceto medio riflessivo». L’ottusità è di gran lunga più apprezzata dell’intelligenza (sono per esempio apprezatissime le denunce a prescindere del berlusconismo da qualunque pulpito provengano, un giorno i futuristi, un altro giorno gli storici inglesi convinti, come scrive Marcello Veneziani sul Giornale, che Dante Alighieri sia «sepolto a Firenze» e che Vincenzo Gioberti, per via del primato morale e civile degl’italiani, fosse un razzista biologico, come Hitler, o un razzista spirituale, come Julius Evola). All’intellettuale italiano, scarso di letture, di penna fiacca, sempre pronto a lodarsi e imbrodarsi ma buono soltanto a parlare in pubblico e a tener comizi, basta avere sempre a portata di mano l’opportuna frase fatta, le banalità che tutti condividono perché a evitarle si fa troppa fatica, le menzogne pure e semplici e le idee convenzionali, meglio se vecchie e polverose. Questa, a regola di briscola, è la vera arte dell’agit-prop: dire sciocchezze e mentire. Vespa avrà anche i suoi difetti ma di sicuro non mente e neppure dice sciocchezze. Racconta storie, elenca cose e fatti, non monta in cattedra e soprattutto si fa leggere dalla prima all’ultima pagine. Fabio Fazio, che ai libri di Vespa preferisce di sicuro quelli di Luciana Littizzetto, certamente si stupisce e dice «ohibò» quando qualcuno gli spiega che i libri di Vespa, oltre che più chiacchierati, sono anche molto più venduti. È per questo, perché i suoi libri si vendono bene e perché sa che Dante Alighieri è sepolto a Ravenna, che Bruno Vespa è così detestato. È detestato dai post comunisti e dagli ex democristiani di sinistra per il loro costitutivo fanatismo dell’apocalisse, dai comici televisivi per la loro tradizionale mancanza di senso dell’umorismo e dai colleghi per invidia pura e semplice. Questi ultimi sono le cheerleaders dell’intellighenzia insignificante.