Diego Gabutti, ItaliaOggi 17/11/2010, 17 novembre 2010
Eco tra erudizione letteraria e delitti gratuiti - Non è esattamente un romanzo, benché ne abbia più o meno le forme
Eco tra erudizione letteraria e delitti gratuiti - Non è esattamente un romanzo, benché ne abbia più o meno le forme. È la novelization, in realtà, di tutti gli studi e le riflessioni che Umberto Eco, negli anni, ha dedicato e dato alle stampe riguardo a quello che per lui, gran maestro di semiotica, è il problema dei problemi: l’interpretazione dei testi. Ricordo per esempio un vecchio saggio di poche pagine, Protocolli fittizi, che già indagava le fonti letterarie e ideologiche (ma più letterarie che ideologiche) dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion che Eco pubblicò in Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani 1994 (è una delle sue Norton Lectures alla Harvard University del 1992-1993). Nel suo ultimo libro, Il cimitero di Praga, Bompiani, pp. 528, 19,50 euro, una struttura da feuilleton, magari un po’ vaga, magari un po’ affrettata, fa dunque da cornice a una lunga riflessione sulla natura del feuilleton (e della letteratura, che ha le sue virtù, nessuno lo nega, ma che non è mai così innocente come pretende). Non di meno Il cimitero di Praga ha un suo romanzesco perché, e si legge infatti d’un fiato, volando da una pagina all’altra. È un saggio fantasmagorico, che unisce divertissement e vasta scienza, su una possibile genesi dei Protocolli. È la storia naturale del libello (anzi del Manoscritto inesistente, Marsilio1998, come l’ha chiamato Cesare G. De Michelis in un altro grande libro) che all’inizio del Novecento, sulle macerie dell’affare Dreyfus, lanciò in grande stile l’antisemitismo moderno, deciso a prendersi la rivincita sull’opinione pubblica dreyfusarda che in Francia aveva vinto la partita contro reazionari e bigotti (e più ancora era deciso a giustificare i pogrom russi, diretti e organizzati dall’Okhrana, la polizia segreta zarista, qualunque cosa abbia poi scritto Aleksandr Solzenycin, a giustificazione delle autorità russe e del KGB zarista, nel suo pessimo libro sugli ebrei russi, Due secoli insieme, 2 voll., Controcorrente, Napoli, 2007). Nel breve saggio sui Protocolli fittizi che ricordavamo più sopra, così come in altri saggi opera d’Umberto Eco e d’altri autori, si può leggere all’incirca la stessa storia (praticamente un Codice Da Vinci sul destino delle opere letterarie) che oggi scala le classifiche librarie. Un’avventura che comincia con i Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme dell’abate Augustin Barruel, un’opera apparsa nel 1798, dove s’ipotizzava che dietro la Grande rivoluzione e il Terrore giacobino ci fosse un complotto templare, maturato attraverso i secoli, per rovesciare la monarchia francese. Una storia che continua nel 1848 col Giuseppe Balsamo d’Alexandre Dumas, con L’ebreo errante (1845) e con I misteri del popolo (1849) d’Eugène Sue, dove altri savi anziani, all’origine non ancora ebrei ma gesuiti o massoni, costruiscono vasti complotti riunendosi in località segretissime dove danno fiato, con trombe e tromboni, alla retorica cospirazionista. Prosegue, l’avventura complottarda, col Dialogo agl’inferi tra Machiavelli e Montesquieu (ECIG, Genova 1995) di Maurice Joly, che nel 1864 s’ispira a Barruel, Dumas, Sue e alle loro teorie del complotto, cioè all’idea che un’organizzazione clandestina di potentissimi vegliardi governi segretamente il mondo, per condannare il regime, prima repubblicano e poi imperiale, di Napoleone III, ex carbonaro e capostipite di tutti i futuri tiranni che, nel secolo successivo, avrebbero messo a ferro e fuoco l’Europa. E via così, attraverso libelli che si saccheggiano temerariamente l’uno con l’altro, con i nazionalisti che passano la palla ai socialisti e viceversa, fino a quando la teoria del Complotto universale raggiunge la Russia zarista e si trasforma nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un libello quasi certamente redatto da qualche giornalista antisemita, forse francese, forse no, al servizio dell’Okhrana. Al centro del Cimitero di Praga (è lì che i Protocolli immaginano che i savi anziani si riuniscano per deliberare il dominio del mondo) c’è il mistero di questo libello. A raccontarlo è l’autore immaginario del complotto, un notaio assassino, spia al servizio di tutte le potenze, provocatore antigaribaldino durante il Risorgimento, falso esoterista, antisemita militante. Non è un gran personaggio. Serve a vivacizzare un po’ il libro, la cui sola ragion d’essere è l’erudizione letteraria, con qualche delitto gratuito ogni tanto. Non si capisce, infine, perché i critici cattolici detestino il libro: che l’antisemitismo, all’origine, sia cosa cattolica è un fatto, mica un «dossier».