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 2010  novembre 20 Sabato calendario

“Zero pallini li dò soltanto a Foscolo” - Spiaggia di Levanto, luglio del 1949. Una bella ragazza sulla sdraio tiene in mano I fratelli Karamazov

“Zero pallini li dò soltanto a Foscolo” - Spiaggia di Levanto, luglio del 1949. Una bella ragazza sulla sdraio tiene in mano I fratelli Karamazov . Il giovanotto arrivato da Como, tale Morando Morandini già malato di cinema, compie 25 anni quel giorno e ha tre proponimenti per il futuro: vuole imparare a guidare, a ballare e a tirare di boxe. Teorizza le amicizie femminili prive di complicazioni sentimentali, ma non può prevedere quella Laura che al mare si porta Dostoevskij: «Con Tolstoi e Gogol, uno dei russi preferiti da mia madre». Due anni dopo, Laura se la sposerà. Staranno insieme per cinquant’anni, fino alla morte di lei. E insieme firmeranno, dal 1998, un fortunatissimo Dizionario dei film per Zanichelli, giunto alla tredicesima edizione, che ora Morandini continua, in collaborazione con una dei tre figli, Luisa («Ma il nome di mia moglie appare sempre sulla copertina»). Di lui dicono che è «il più francese dei critici cinematografici italiani» (e una collega americana giudicò anche, dopo averlo visto recitare in Prima della rivoluzione di Bertolucci, che quella era «la più bella faccia di comunista mai vista sullo schermo»). Ha sempre pensato che chi fa il suo mestiere e si limita ad andare al cinema si perde, oltre a un bel po’ di divertimento, anche molti preziosi strumenti di analisi. «In un decalogo che una volta scrissi per i giovani critici, misi come primo comandamento: leggere! E non solo testi specializzati, beninteso. Il cinema è un crocevia tra arti figurative, letteratura, teatro e musica: diffidare dai cinefili puri che vivono in sala, a meno che non siano imberbi. Sa quanti bei libri non riesco a leggere perché vedo troppi brutti film? E quanto rimpiango di andare troppo poco a teatro, io che adoro gli attori?». Sul tavolino da notte di Morando, nell’appartamento dove abita, da solo, in Porta Vigentina a Milano, al momento occhieggiano tre libri di poesia. «Due persi in chissà quale trasloco e poi ricomprati, i Sonetti di Shakespeare e Foglie d’erba di Walt Whitman. L’altro mai letto prima, le Poesie d’amore di Prévert. Ma di poesia non ho più potuto fare a meno da quando, nell’adolescenza, ho incontrato gli ermetici». Diceva dei russi trovati in casa. Proprio all’inizio, però, è stato un altro regalo di sua madre a segnarle la vita. «Avrò avuto 15 o 16 anni, era un’edizione Bompiani, titolo Come si scrive un film . Non ricordo l’autore, ma la dedica è indimenticabile: "A Morando che vuol fare il regista". François Truffaut diceva che nessun bambino ha mai sognato di diventare critico cinematografico. Nemmeno io, all’inizio, avevo le idee chiare». Negli anni della scuola quali autori l’hanno accompagnata? «Ho frequentato l’Alessandro Volta di Como: un liceo classico non intitolato a un letterato. Della triade Manzoni-FoscoloLeopardi era il secondo che non mi andava giù, ma è proprio quello che mi hanno chiesto all’esame di maturità. E ho preso soltanto sette, io che di solito ero molto bravo in italiano. Anni dopo ho scoperto il pamphlet di Gadda, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo , e ne ho condiviso ogni parola. Leopardi, invece, è stato una malattia per tutta la vita. Anche se lo Zibaldone l’ho letto molto tardi». Gli ermetici, l’odio per il Foscolo muscolare: s’intuisce una certa insofferenza per la retorica e il trionfalismo di quegli anni. «Appunto: una specie di contravveleno. L’altra passione travolgente, con Ungaretti, Quasimodo e Umberto Saba, sono stati i grandi romanzi d’avventura anglosassoni. Stevenson e Jack London, in particolare: L’isola del tesoro eZanna Bianca , naturalmente, e poi tutto il resto. Lì è nato l’amore per la letteratura inglese e americana. Che ho sempre cercato di leggere in originale, magari con il testo a fronte». Lei ha cominciato a lavorare giovanissimo nei giornali. «La mia tessere di giornalista professionista è datata primo luglio 1947. Prima all’ Ordine di Como, poi a Stasera , alla Notte , dove c’inventammo una pagina degli spettacoli rivoluzionaria per l’Italia, con i celebri pallini per giudicare i film, e infine per trent’anni al Giorno ». Com’era la Milano degli Anni Cinquanta? E chi frequentava, lei, tra gli intellettuali della città? «È difficile spiegare come fosse a chi non c’era. Più viva, più speranzosa senz’altro. Al contrario di quello che accade oggi, si era ben consci di avere un futuro. Ci vedevamo spesso a cena, in casa, con Oreste del Buono e Giansiro Ferrata. Ed ero particolarmente affezionato a Franco Loi, che avevo conosciuto quando lavorava alla radio svizzera» Gli amori letterari di quel periodo? «Anche bizzarri. Per esempio il trascuratissimo Alfredo Oriani, pescato veramente a caso, in biblioteca, sfogliando certi schedari. Saltò fuori Fuochi di bivacco , una sua raccolta di saggi. Mi entusiasmarono, passai a leggere tutto il resto. Dopo il ’45 avevo scoperto un altro dei miei preferiti, Bernanos: un autore molto amato dal cinema, fra l’altro, se pensa al Diario di un curato di campagna di Bresson e a Sotto il sole di Satana di Pialat». E oggi? «Faccio il possibile, ritagliandomi il tempo tra una schedina e l’altra. Perché il Dizionario è un impegno pressante: continuo ad andare al cinema tutti i giorni, e prima che arrivasse lei, per esempio, stavo scrivendo la voce di Somewhere della Coppola. Ma i libri sono sempre tre o quattro alla volta, spesso letti in viaggio, e quant’era bello farlo in treno, prima che i cellulari diventassero così invasivi! Ho rottamato l’ultima automobile da quattro anni: da allora giro in tram col libro in tasca. Poi c’è chi pensa a farmi leggere per obbligo. Per esempio mi hanno messo nella giuria del Nonino: guardi qui, sul tavolo, i titoli che devo esaurire prima di Natale: Chomsky, Javier Marìas, Alistair Horne, Richard Ford: scrittore di racconti, molto interessante. È una formula che mi è sempre piaciuta». Non frequenta i giovani scrittori italiani, lei che da direttore del Festival di Bellaria ha aiutato a venire al mondo tanti nuovi talenti, da Giuseppe Tornatore a Antonio Rezza? «Proprio per niente, non mi va di leggere un libro soltanto perché è di moda. Casomai aspetto due o tre anni, lascio che il tempo aiuti a giudicare. Per esempio quel libro di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi : già immagino come possa essere, che bisogno c’è di andarlo a leggere? A dirla tutta, non credo che piacesse neanche a Saverio Costanzo, il regista che ne ha tratto un film, ma gli davano un budget ricco ed è naturale che abbia accettato». Che cosa leggeva ai suoi figli bambini? «Poco o nulla, ho il rimpianto di essere stato un padre assente. Ho recuperato coi nipoti, soprattutto con Francesca (Fago, fotografa, figlia di sua figlia Lia e dello scenografo Amedeo Fago, ndr). Insieme leggiamo i giornali, li commentiamo. E insieme abbiamo composto un altro libro di famiglia, Dall’una all’altra , con le mie poesie e le sue foto, dedicato a Laura. Laura, la ragazza della spiaggia. A proposito: lei, quel Dostoevskij, mica lo stava leggendo sul serio. Le amiche le avevano detto che arrivava questo intellettuale supercilioso, è andata in libreria e l’ha comprato per farmi colpo. Accidenti se c’è riuscita».