CHIARA BERIA DI ARGENTINE, La Stampa 20/11/2010, pagina 37, 20 novembre 2010
Il re delle miniere sceglie l’Italia - Meno 40 gradi d’inverno, più 35 in estate, 6 ore di fuso orario dall’Italia
Il re delle miniere sceglie l’Italia - Meno 40 gradi d’inverno, più 35 in estate, 6 ore di fuso orario dall’Italia. Korchakol dove 3 anni fa Paolo Clerici, presidente del gruppo Coeclerici, ha comprato - primo occidentale in Russia - l’intero capitale di una miniera a cielo aperto di steam coal (carbone per energia elettrica) è un puntino nell’infinita regione siberiana del Kuzbass. Non solo moda, pizza o design. Ora il marchio della Coeclerici (il gruppo, 500 milioni di euro di fatturato, opera nel trading e logistica delle materie prime e nell’armatoriale) compare accanto a sbiadite stelle rosse anche sui vagoni dei treni che trasportano il carbone per 5100 km fino al porto di Murmansk, l’unico al Circolo polare Artico libero dai ghiacci tutto l’anno. Forti investimenti, ammodernamento delle strutture. «In 3 anni a Korchakol la produzione è passata da 300 mila a 600 mila tonnellate l’anno di carbone destinate alle centrali inglesi e spagnole. Entro il 2012 arriveremo a 1 milione di tonnellate», dichiara Clerici, 65 anni, terza generazione di una storica famiglia d’armatori genovesi. L’acquisto della miniera siberiana (la Coeclerici tratta 6 milioni di tonnellate l’anno di carbone) è solo l’ultima sfida di un cavaliere del lavoro sempre più global. «Nel 1992 quando sono diventato responsabile del gruppo», spiega Clerici, «facevamo più del 94% del nostro fatturato in Italia. Era un altro mondo. Crollo del muro di Berlino e Tangentopoli. Forse anche perché ho una madre inglese non sono tagliato per certe cose, tengo molto alla trasparenza. Ho rivoltato l’azienda e ho cambiato tutti i manager. Adesso il 98% del nostro fatturato lo facciamo all’estero». Due figli maschi, Giacomo e Urbano, già inseriti nel gruppo per anni Paolo Clerici che, in quel 1992 aveva solo il 21,5% del capitale, ha racimolato le quote di parenti e partner finanziari. Infine, un mese fa, ha comprato l’ultimo 10%. «Uno schiribizzo? Anche. Ma, soprattutto, credo nel nostro lavoro e ci metto i soldi». Una ciliegina sulla torta per un imprenditore sulle cui chance anni fa pochi avrebbero scommesso visto i contrasti con il padre Jack e la sua fama di sfrenato giovanotto, compagno d’avventure di play boy come Gigi Rizzi. Giro di boa, rientro nei ranghi, proiezione su mercati globali. A Milano nel nuovo supercool quartier generale della Coeclerici tra opere d’arte contemporanea del glorioso passato (la società fu fondata a Genova nel 1895 da Henry Coe, uomo d’affari scozzese; Alfonso, nonno di Paolo, diventò suo partner all’inizio del ‘900) restano i dipinti e modellini di antichi bastimenti. I nuovi gioielli Coeclerici sono i supertecnologici terminal galleggianti («Nella logistica siamo i primi al mondo!») che dal lago di Maracaibo in Venezuela a Tanjung Bara in Indonesia caricano e scaricano i minerali dalle navi oceaniche troppo grandi per entrare nei porti. Ex presidente di Confitarma, Paolo Clerici, da buon padrone della miniera («A cielo aperto; nulla a che vedere con Marcinelle») difende con assoluta convinzione le ragioni del carbone. «Grazie alle tecnologie il carbone oggi è meno inquinante. E ancora. Ci sono riserve di petrolio per non più di 40-60 anni e nelle mani di pochi; quelle di carbone sono per almeno 150 anni e in varie regioni del mondo. Perciò penso che il carbone sia il combustibile di transizione verso l’energia pulita. E, però, mentre il consumo di carbone in Europa, a cominciare da Paesi scandinavi così attenti nella difesa dell’ambiente, è del 35% in Italia è solo del 15%. Una follia visto la nostra totale dipendenza dall’estero. Il problema è che “il mondo petrolifero” ha fatto di tutto per bloccarci», attacca l’imprenditore. Anche lei, Clerici, vuole andarsene? «No. Mi danno del matto ma, contrariamente ai miei concorrenti che hanno le sedi a Ginevra, Zug e Singapore, io resto e difendo l’Italia. Non stupiamoci però se, in mancanza di trasparenza e di regole certe, non attiriamo investimenti stranieri. Del resto, siamo l’unico Paese al mondo dove pure dal medico ti senti chiedere: «Chi la manda?».