Alberto D’Argenzio e Nicola Flamigni, L’espresso 25/11/2010, 25 novembre 2010
CHI MANOVRA CONTRO L’EURO
(colloquio con Paul Krugman) -
Sui mercati è tornata grande fibrillazione. Con la speculazione in prima linea. C’è chi punta sulla guerra delle valute e si inserisce nel duello tra dollaro e monete asiatiche. E chi ha messo nel mirino gli anelli deboli dell’euro, a cominciare da Irlanda e Portogallo. Sono questi due paesi ora a tormentare politici e operatori dopo che la Grecia aveva inferto un primo colpo in primavera spingendo gli organismi internazionali a massicci interventi. Un ruolo cruciale lo sta giocando Angela Merkel, la Cancelliera diventata una sorta di gendarme d’Europa, pronta a chiedere sacrifici e austerità a tutti quelli che hanno deficit e debiti eccessivi. La Germania può permetterselo grazie a un’economia che ha ripreso a funzionare.
Paul Krugman, premio Nobel per l’economia 2008, editorialista del "New York Times", nonché icona della sinistra liberal americana, è uno dei più autorevoli critici delle misure d’austerity messe in atto dai governi di mezzo mondo per combattere la crisi. Crisi che Krugman aveva previsto.
In un momento cruciale, segnato dalle nuove mosse antideflazionistiche della Federal Reserve, dal G20 in Corea del Sud e dai movimenti tellurici della zona euro, messa di nuovo alla prova dalle difficoltà di Irlanda e Portogallo, Krugman si scaglia contro il ruolo soffocante della Germania e il gioco sporco della Cina, difendendo allo stesso momento la svalutazione del dollaro. Il suo è un ritratto sconfortante, che non esclude l’uscita della Grecia dall’euro. E l’Italia? Da noi, lascia intendere l’economista, la situazione è problematica, ma siamo nel complesso meno vulnerabili di altri paesi Ue.
Professor Krugman, negli ultimi giorni la Fed ha sollevato critiche dentro e fuori gli Stati Uniti per la sua politica che punta ad alzare l’inflazione iniettando liquidità. Qual è la sua posizione?
"Sono tra quelli che condividono la manovra della Fed ma sono pessimisti sulla sua efficacia: 600 miliardi di dollari non sono abbastanza. Gli Stati Uniti hanno un estremo bisogno di erogare più liquidità, la disoccupazione è altissima e i dati sull’inflazione sono simili a quelli del Giappone negli anni dello scivolamento verso la deflazione. È il momento di agire con decisione se non si vuole finire nella stessa spirale deflazionistica"
Lei ha commentato molto duramente l’operato di Bernanke. Quali sono le colpe del presidente della Fed?
"Mi chiedo cosa pensi realmente. Dice di volere aumentare l’inflazione, ma poi ammicca a quelli che non vorrebbero fare nulla contribuendo ad annacquare la proposta finale. E così finisce intrappolato in uno spazio ridotto di manovra. Il vero problema è che la Fed non è pronta a capire che l’unica soluzione è promettere un tasso di crescita dell’inflazione più alto del normale. Troppi membri del consiglio della banca centrale hanno una mentalità obsoleta. Quello che sta facendo ora la Fed, comprare il debito a lungo termine, senza fare nulla per quello a corto termine, sul quale opera convenzionalmente, potrebbe funzionare, ma resta una manovra debole".
Le mosse della Fed fanno paura ai paesi emergenti che temono le bolle speculative e hanno incassato al G20 il diritto a erigere barriere protezionistiche.
"Non userei il termine barriere protezionistiche. Si tratta piuttosto di controllo di capitale e non c’è nulla di male in questo. È lecito svalutare il dollaro per aumentare gli aggregati monetari (la disponibilità di moneta, ndr.) e venire così incontro ai bisogni di un paese. Al contrario è ingiusto che la Cina tenga il Renmimbi debole quando allo stesso tempo conduce una politica monetaria restrittiva. Nella battaglia delle valute gli Stati Uniti giocano pulito, la Cina no. Obama ha sbagliato a mettersi sulla difensiva spiegando che la svalutazione del dollaro è solo un effetto indiretto della politica monetaria espansionistica. Come se agire sulla moneta non fosse previsto dalle regole del gioco. In questo contesto ci si rende conto come molte delle critiche che circolano siano ipocrite. Per esempio, la Germania critica gli Usa per il deficit di bilancio di Washington dall’alto del suo enorme surplus di bilancio, quando una politica monetaria espansionistica potrebbe ridurre proprio questo deficit".
Nelle battaglie per le monete e negli equilibri che si vanno delineando, l’Europa sembra sempre più tagliata fuori dalla partita. Anche l’ascesa dei paesi emergenti nel Fondo monetario avviene a discapito del Vecchio continente. L’Europa ha ancora carte da giocare?
"La situazione europea è problematica, la ripresa stenta, i debiti pubblici sono molti alti in tutta la periferia della zona euro e la Germania si dimostra sempre più dogmatica nell’imporre a tutti delle severe misure d’austerità. Secondo Berlino tutti dovrebbero avere la bilancia commerciale in attivo, seguendo il suo modello, una cosa questa impossibile. Per questo motivo la Germania sta rivestendo un ruolo distruttivo per l’economia europea. E possiamo rilevare lo stesso problema per la Banca centrale europea che soffre, a differenza di quella americana, della presenza al suo interno di troppi Axel Weber, ossia di troppe persone radicalmente a favore di misure restrittive, mentre in America è il contrario. La maggioranza pensa a sostenere la spesa. E non dobbiamo dimenticarci che la Bce soffre dell’assenza alle sue spalle di un governo centrale che le permetta di prendere rischi diretti avvalendosi del suo stato patrimoniale. Anche a causa di questo problema strutturale la Bce non sta rispondendo adeguatamente alla crisi".
Dopo il salvagente lanciato alla Grecia, anche il Portogallo e l’Irlanda sono al centro del dibattito per finanziamenti da parte del fondo europeo di stabilizzazione. Tutta questa debolezza potrebbe mettere a rischio l’euro?
"Se ci sarà un paese che cadrà vittima degli attacchi speculativi e finirà fuori dall’euro, quello sarà la Grecia. Mi sembra molto improbabile che Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna escano dalla moneta comune. Sono un pessimista, ciò nonostante non credo l’euro possa scomparire".
La divisione dell’Unione monetaria in due aree: una, con la Germania, attorniata dalle economie virtuose a trainare, e l’altra, con i paesi periferici emarginati economicamente ed politicamente, è una previsione irrealistica?
"Se dovessi fare delle previsioni direi che c’è un 30 per cento di possibilità che la Grecia viva una nuova crisi bancaria e che sia quindi forzata a uscire dall’euro. Ciò potrebbe contagiare l’Irlanda e il Portogallo, come già lascia intendere la situazione di questi giorni, ma non credo che il contagio possa espandersi molto oltre. Vedo piuttosto improbabile un coinvolgimento della Spagna in questa dinamica, ed è ancora meno probabile per l’Italia. Se la Grecia dovesse essere obbligata a uscire dalla moneta unica, allora ciò porterebbe sicuramente a un ulteriore attacco speculativo contro altri paesi, ma alla fine penso che tanto Dublino come Lisbona riusciranno a resistere. La situazione rimane comunque complessa per i paesi periferici e lo rimane per una ragione semplice, perché la Germania continua a soffocarli imponendo la sua politica d’austerità"
Perché la Grecia potrebbe finire fuori dall’euro e gli altri paesi no?
"Perché la Grecia è troppo poco competitiva, e anche se Atene dovesse riuscire a correggere i conti pubblici i suoi problemi strutturali rimarranno. L’Irlanda, invece, sta realizzando alcuni aggiustamenti sostanziali, senza scordare che il problema di Dublino è quasi esclusivamente legato alle banche. Oltretutto per l’Irlanda è molto più importante essere integrata nella zona euro che per la Grecia, che, stando fuori, potrà in futuro giovarsi della svalutazione per ovviare alla sua scarsa competitività".
L’Italia ha una situazione simile a quella greca: debito altissimo, crescita bassa e quotazioni dei suoi credit default swaps che si sono alzate. Potrebbe essere presa di mira dalla speculazione e rischiare il default?
"L’Italia è nel fango, ma non nelle sabbie mobili come Grecia, Portogallo e Irlanda. Il debito è molto alto, ma il debito privato è basso e il numero di proprietà immobiliari familiari rimane alto. Il vostro paese ha seri problemi, ma non è così vulnerabile".
La crisi del governo Berlusconi e la prospettiva di elezioni anticipate potrebbero indebolire il paese sui mercati, come succede per l’Irlanda che riesce ad approvare la finanziaria?
"No, non credo. Mi viene da fare un paragone con gli Stati Uniti, anche loro finiti in uno stallo politico. In fondo ci sarebbe da preoccuparsi se l’Italia fosse sull’orlo di un burrone, ma non lo è, almeno per il momento, e non ha bisogno di aggiustamenti finanziari cosi urgenti come i suoi partner più deboli del Sud o come l’Irlanda".
L’Europa soprattutto del Sud vacilla, ma l’unica ricetta per il malato è quella lacrime e sangue pretesa dalla Germania.
"L’Europa ha bisogna esattamente del contrario, non dell’austerità. Mi spiace per gli inglesi che hanno appena rieletto un governo proprio nel momento del picco di questa moda e che ci metterà molto tempo prima di ammettere che rispondere con misure restrittive alla disoccupazione montante e alla caduta dell’inflazione rimane una pessima idea. L’Europa dovrebbe lanciarsi in una politica espansiva della Bce, di fare almeno tanto quanto prova a fare la Fed negli Usa. Se solo l’inflazione fosse più alta, i problemi di Italia, Irlanda, Spagna e Portogallo sarebbero più facili da gestire".