Matilde Amorosi, Oggi, n. 47, 24 novembre 2010, pag. 120, 24 novembre 2010
CON UNA CASA COSI’, SI PUO’ CHIEDERE AIUTO ALLO STATO?
Sono stanco, voglio solo un po’ di pace», dice Franco Califano, commentando la vicenda che lo vede nell’occhio del ciclone, in una ridda di dichiarazioni e di smentite. Il primo atto di quella che assomiglia a una commedia degli equivoci inizia con la notizia choc: il cantautore settantaduenne, costretto all’immobilità a causa di un incidente domestico, chiede l’applicazione della legge Bacchelli, un sussidio dello Stato previsto per aiutare gli artisti in miseria. Come, per esempio, la poetessa Alda Merini, Franco Citti e Laura Antonelli, il cui caso è stato segnalato di recente da Lino Banfi. «Sono povero, non posso nemmeno comprarmi una tomba», dice Califano al Tg1, in contrasto col personaggio del Califfo, seduttore irresistibile, abituato al lusso e alla trasgressione. Tra il dispiacere degli ammiratori e le critiche dei detrattori che lo accusano di facile pietismo. Poi Califano fa marcia indietro. «Non ho mai chiesto l’assegno di Stato e mi scuso con gli operai e con i pensionati che vivono con poche centinaia di euro al mese», assicura. Per poi andare in visita da Renata Polverini, governatore della Regione Lazio a ribadire le sue difficoltà. E, visto che il lupo perde il pelo e non il vizio, la definisce «bellissima» e annuncia che le dedicherà una canzone. Intanto a Franco si rinfacciano tutti i suoi errori. Con riferimento in particolare al carcere, dov’è finito con l’accusa di uso e spaccio di stupefacenti, per poi essere prosciolto per non aver commesso il fatto. E nel tracciare il ritratto, a tratti impietoso, di un «peccatore», si dimenticano i suoi drammi. Da piccolo Franco finì in collegio perché i genitori non avevano i mezzi per mantenerlo. «Un’esperienza terribile, che poi ho rivissuto in carcere. E il trauma ripetitivo della privazione della libertà mi ha distrutto», ricorda. Del suo matrimonio, Califano, che allora aveva 19 anni, preferisce non parlare. Ma certo aver lasciato la moglie incinta e non essere mai stato un padre per la figlia nata dalla loro unione gli avrà procurato inconfessati conflitti interiori. Per non parlare di quel figlio che adottò anni fa, subito sparito dalla sua vita. «Ho sofferto di depressione e di attacchi di panico, una conseguenza del mio perenne stato d’ansia», confessa Franco. «Ho vissuto momenti spaventosi che ho superato con l’aiuto dei medici, ma certe ferite non guariscono mai del tutto». Ora Califano è confuso e contrariato dal pensiero che la sua immagine di «uomo che non deve chiedere mai» sia sostituita da quella di un perdente, in cui non si riconosce. Risponde alle nostre domande solo in nome di una lunga amicizia, precisa. Più che un’intervista, il suo è uno sfogo molto umano. E in certe zampate da vecchio leone, ritroviamo il Califfo.
Franco, come è incominciata questa storia?
«Nel luglio scorso sono caduto dalle scale e mi sono fratturato tre vertebre. Costretto all’immobilità, ho patito le pene dell’inferno. Non potevo fare altro che pensare e così i fantasmi della mia mente si sono risvegliati. Quel mostro che è la depressione è ricomparso, privandomi di ogni energia. E mi sono sentito perduto. In un caos di emozioni, dubbi e paure, parlando con alcuni amici, ho saputo che lo Stato prevede di aiutare gli artisti in difficoltà.
Pensavo che la legge Bacchelli fosse una specie di onorificenza e ho detto: "Va bene, mi potrebbe essere utile", cedendo a un impulso del momento. Ma in realtà non voglio la pietà di nessuno e detesto solo l’idea di ammorbare gli altri con i miei guai. Sono in grado di cavarmela da solo, perché, se sto ancora qui dopo tutto quello che ho passato, vuoi dire che sono un uomo forte e coraggioso».
Ma è vero che sei ridotto in miseria?
«Come ho detto, dalla Siae percepisco circa ventimila euro all’anno, ma i miei guadagni provengono soprattutto dalle serate. Quando non potevo più muovermi, ho temuto di dovermi ritirare e sono andato in tilt. Ora sto meglio e non vedo l’ora di riprendere a lavorare. Tra l’altro è necessario, perché altrimenti non campo, o almeno campo male».
A giudicare dalla bella casa in cui abiti, non sembra che tu sia in difficoltà economiche.
«È una casa in affitto, con un canone accessibile perché è
fuori Roma. E non so per quanto ancora potrò permettermela. Con Renata Polverini sono stato chiaro: "Soldi non ne chiedo perché da mangiare non mi mancherà mai. Ma se lei mi aiuta a trovare un tetto sicuro, ne sarei felice". E aggiungo che non pretendo una reggia». Ti penti di aver sperperato tanti soldi?
«Se tornassi indietro sarei più previdente, ma non rinnego i miei errori. Come tutti i creativi, non sono bravo a fare i conti e mi sono affidato a persone che hanno approfittato della mia buona fede. Ho speso molto per aiutare gli altri, guardandomi bene dal farlo sapere in giro».
È il futuro che ti spaventa?
«Sì. Quando arrivi alla mia età e stai bene in salute vai avanti. Ma se sei immobilizzato a letto i pensieri neri ti tormentano».
Con tutte le donne che hai avuto come mai sei solo? «Evidentemente non ho mai trovato quella giusta. Forse anche per colpa mia, ma in amore ho la coscienza pulita perché non ho mai illuso nessuno. Nell’invalidità degli ultimi mesi, a una donna avrei potuto chiedere di fare l’infermiera. Non è da me».
Hai mai pensato di cercare tua figlia?
«No. Sarei superficiale ed egoista se tentassi di recuperare un rapporto che non è mai esistito. Evidentemente la sfera della paternità non mi è propizia Quando adottai un giovane in difficoltà, un figlio per scelta, importante quanto quello biologico, scoprii che il ragazzo voleva sfruttarmi. Revocai l’adozione, ma l’amarezza mi è rimasta dentro».
Hai scoperto Dio nella maturità: sei un peccatore pentito? «Non ho il senso del peccato e quindi non posso nemmeno pentirmi. È vero, spesso penso a Dio, come a un’entità spirituale, illuminante e protettive Mi guarda benevolmente, lo sento, perché, in fondo, sono un peccatore onesto».