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 2010  novembre 25 Giovedì calendario

IN PRINCIPIO FU LELE

(con box) -

Cuoco a Verona. Parrucchiere alla moda. Re della notte. Spacciatore di cocaina. Scopritore di talenti. Detenuto. Agente delle star. Evasore totale. Grande burattinaio della tv-spettacolo. Amico di Silvio Berlusconi. Nostalgico di Benito Mussolini. Socio di malavitosi. Milionario con ville da sultano. Imprenditore fallito senza un soldo in cassa. E nello stesso tempo benefattore di "Ruby Rubacuori". Tante maschere per un personaggio unico: chi è veramente Dario Mora, in arte Lele? Qual è il segreto della sua straordinaria carriera, tra continue cadute e imprevedibili resurrezioni? Dalla gavetta in provincia nei turbolenti anni Ottanta, alle feste di questi mesi con il premier e le sue ragazze ad Arcore, "L’espresso" ha cercato di ricostruire, con testimonianze e documenti inediti, la biografia dell’uomo che, suo malgrado, ha finito per anticipare la crisi del governo Berlusconi. Una storia di gossip gonfiati e affari veri, culto della visibilità e oscuri legami con boss criminali. Una vita piena di misteri che Mora non ha voluto chiarire, nonostante le ripetute richieste rivolte sia ai suoi legali che personalmente a lui, mentre usciva dagli uffici del suo palazzo-reggia di viale Monza a Milano, muto e nervoso, per sfrecciar via con l’autista e tre guardaspalle su una berlina con targa del Canton Ticino.
IL PRIMO GRADINO Nato il 31 marzo di 55 anni fa a Bagnolo Po, nelle campagne di Rovigo, Mora si è diplomato alla scuola alberghiera e ha cominciato a diventare qualcuno a Verona. I primi soldi li mette da parte facendosi apprezzare come cuoco al ristorante, che allora si chiamava Pedavena, affacciato sul "Liston", la passeggiata in pieno centro, di fronte all’Arena. Simpatico, accattivante, decide di sfruttare la sua rete di amicizie per un nuovo lavoro: si mette in società con Pasquale Sciscenti, parrucchiere nel vialone dello stadio. Sono gli anni dello scudetto dell’Hellas Verona e con i calciatori arrivano le star. "Lele non ha mai fatto il parrucchiere", ricorda oggi Pasquale: "Gestiva l’amministrazione e le pubbliche relazioni, era bravissimo ad attirare e coccolare la clientela. Il nostro fu il primo beauty center della città, con palestra, massaggi e lampade abbronzanti. Abbiamo aperto tre saloni, tra via Manin e borgo Milano, ma il quartier generale era allo stadio, dove Lele ha iniziato a ospitare calciatori e showgirl". Discoteche, notti folli, feste continue. "Coiffeur Pasquale", che nel frattempo ha spostato il negozio in una via laterale, tiene ancora appese le vecchie foto con i vip: da Paolo Rossi a Pamela Prati e al centro loro, Pasquale e Lele in frac. "Si fa sentire ancora e di lui non posso che parlar bene", riassume il parrucchiere. Un’ex commessa ha raccontato al quotidiano "L’Arena" di essersi licenziata quando un ricco cliente le offrì centomila lire: dunque è vero che già allora, tra i segreti di Mora, c’erano le ragazze facili? "Lele ha un unico grosso difetto: si è sempre lasciato attorniare da persone pronte a tutto per il successo. Ma non credo che abbia mai spinto nessuno a prostituirsi".
COCAINA AI VIP L’altro segreto dell’ascesa di Mora lo racconta un’inchiesta dei carabinieri di Verona. Tra dicembre ’88 e gennaio ’89 Lele viene intercettato mentre spaccia cocaina a cantanti come Patty Pravo e calciatori come l’argentino Caniggia, prosciolti perché semplici consumatori. Al telefono, Mora parla solo di "bottiglioni di vino", recapitati però in piena notte. Caniggia si lamenta che "sta male" e si arrabbia per averne "meglio di prima". E la fidanzata del suo coinquilino, anche lui ex calciatore argentino, confessa che "la cocaina lo sta rovinando".
Le telefonate più compromettenti partono da un ristorante del centro nella notte dopo la partita Verona-Napoli: alla festa di Lele c’è anche Maradona. Nella serata di Capodanno, Patty Pravo chiede a Mora due droghe diverse: "Un po’ di E e un po’ di A". Ma lui ha solo "cioccolatini bianchi".
Arrestato il 16 marzo, Lele resta detenuto per tre mesi a Verona. "Ne sono uscito pulito", ripete ora nelle interviste. In realtà è stato condannato con sentenza definitiva: un anno e sei mesi. Il giudice Michele Dusi, nelle motivazioni (di cui "L’espresso" ha copia), spiega tra l’altro che Mora aveva inutilmente cercato di difendersi sostenendo che di notte, ai calciatori, lui non portava cocaina, ma "solo belle fanciulle". Quella che oggi è l’accusa legata al caso Ruby, insomma, vent’anni fa era la sua difesa. "È una storia archeologica", taglia corto, più saggiamente, l’avvocato di Mora Nadia Alecci: "Da allora Lele ha chiuso per sempre con la cocaina".
L’allora procuratore di Verona, Guido Papalia, resta però convinto che il silenzio di Mora abbia salvato clienti importanti: "Le intercettazioni autorizzavano molti sospetti, ma abbiamo limitato le accuse ai casi in cui lo spaccio era una certezza". Di sicuro Lele non ha potuto troncare tutti i legami: a rifornirlo di coca era un pregiudicato per narcotraffico, Pietro Bologna, originario di Capaci (Palermo), marito di sua sorella, Gabriella Mora, e condannato con lei anche dalla Cassazione.
LE TV DI SILVIO L’arresto per spaccio non ferma la carriera di Mora, che continua ad allargare la sua scuderia di personaggi. Anzi, proprio alla seconda metà degli anni Ottanta risalgono la sua amicizia con il Cavaliere e i primi contratti con le sue tv. "A Silvio Berlusconi devo parecchio, perché mi ha permesso di lavorare nei suoi canali", ha riconosciuto Mora nel film-documentario "Videocracy". All’epoca viveva ancora in provincia di Verona e basta vedere la sua casa con i capannoni sul retro per misurare quanta strada abbia fatto: un appartamento a due piani accanto a un distributore Tamoil, con vista sullo stradone Villafranca-Valeggio, frazione Madonnina di Prabiano.
Qui i vicini confermano un incredibile viavai di personaggi televisivi. "Venivano Simona Ventura, Brigitte Nielsen, Natalia Estrada, Maria Grazia Cucinotta, il figlio di Alain Delon, Alberto Castagna, Zucchero, attori americani e tante ragazze bellissime", ricorda, tra un pieno e l’altro, la signora Carolina. "Mora è sempre stato gentilissimo: faceva feste tutte le notti, qualche volta abbiamo dovuto chiamare i carabinieri per poter dormire, ma lui si è scusato e non ci ha più disturbato".
L’EVASORE DI VILLAFRANCA Tante celebrità ospitate nella frazioncina a due passi dal centro di Rosegaferro, per giunta con un vistoso codazzo di transessuali, spingono la Guardia di finanza a indagare sui compensi incassati da Mora per portare i suoi amici famosi in discoteche e locali di moda. Il risultato è un’accusa di "evasione totale per più di 7 miliardi di lire". I marescialli sospettano che Lele girasse a qualche star una parte dei ricavi in nero. E così nella caserma di Villafranca sfilano Anna Falchi e Valeria Marini, Antonella Elia e Serena Grandi, Raoul Bova, Marco Balestri e molti altri. Per Mora ne nasce un altro processo penale, cancellato nel 2000 dall’astuta riforma dei reati fiscali approvata dal centrosinistra.
RAPINATORI E INCENDIARI La signora del distributore ricorda che "Mora, che lavorava da tempo a Milano, ha smesso di tornare qui una decina di anni fa, quando due rapinatori armati gli hanno terrorizzato i genitori". Un ex barista, vecchio compagno di bagordi "tuttora in contatto con Mora", lascia capire che quel fattaccio fu cruciale. Erano le due e mezza di notte del 31 gennaio ’98. Due banditi sfondano la porta, legano e imbavagliano i due anziani e aspettano il segnale: uno squillo di cellulare annuncia alle 3,15 l’arrivo di Mora, che con due pistole puntate è costretto ad aprire la cassaforte. Il bottino supera i 450 milioni di lire, tra contanti, gioielli e orologi. Lele, sconvolto, dice che i rapinatori "sapevano tutto" e di "non poter escludere che siano gli stessi" che lo avevano derubato nel ’93.
La polizia risolve il giallo solo nel 2000, indagando sull’omicidio di un ex eroinomane, trovato carbonizzato sotto un cavalcavia a Verona. I killer si erano fatti prestare la pistola da un certo Gian Alberto Papale, detto Bibi, ciuffo da playboy e fama di malavitoso. Oggi ha 41 anni: in gennaio ha pestato a sangue un rivale con una mazza da baseball. Negli anni Ottanta, quando Verona era una capitale della droga, Bibi era nel giro di Lele, che stravedeva per lui. Perquisendolo, gli agenti trovano anche un foglio di appunti sulla refurtiva rubata a Mora: "Cartier", "Bulgari" e, a sorpresa, "documenti Lele".
Quindi si scopre che Bibi, il pomeriggio prima della rapina, aveva chiamato Mora per invitarlo a cena, sentendosi rispondere che quella sera c’erano i genitori. Indizio finale: il telefonino che allertò i due banditi, quella notte, era in uso proprio a Bibi. Che a quel punto viene arrestato come mandante e "palo". I pm lo accusano anche di un secondo colpo con sequestro di ostaggi, commesso 15 giorni dopo: vittima, la titolare di una pizzeria del Lago di Garda, attesa dagli stessi banditi al rientro a casa con l’incasso. Arrestati i rapinatori, per i magistrati l’inchiesta è chiusa. "L’espresso" però ha scoperto una singolare coincidenza: la vittima della seconda rapina di "Bibi", secondo i carabinieri, era l’ex convivente di un certo Pier Vittorio Belfanti, mantovano, chiaccheratissimo padrone di night e ristoranti. Ed ecco la sorpresa: pochi anni dopo proprio Belfanti diventa socio e cogestore della Lele Mora House, una discoteca di Desenzano del Garda ristrutturata a lusso. Problema: nella notte del 22 aprile 2008, scoppiano due incendi. Prima un rogo, tuttora impunito, distrugge il Sesto Senso, il più famoso locale concorrente. E poche ore dopo bruciano gli uffici della discoteca di Lele. Belfanti e un altro socio, Leo Peschiera, sospettano del night rivale, ma non chiamano i carabinieri: insieme a quattro complici, sequestrano e massacrano di botte, in spiaggia, prima il pizzaiolo e poi il capo dei buttafuori del Sesto Senso. Belfanti e Peschiera sono stati appena condannati in tribunale a due anni e mezzo. Lele è del tutto estraneo a questa faida tra discoteche. Ma ancora una volta il "direttore generale della fabbrica dei sogni" si ritrova circondato di amici da incubo.
DA RUBY AL CRAC Le tappe finali della carriera di Mora sono le più conosciute: Mediaset e Rai che lo trasformano in un Re Mida, non uno dei tanti agenti di stelle già brillanti, ma l’unico, come rivendica Mora, "capace di portare al successo persone che non sono nessuno". Il suo è un impero a conduzione familiare, gestito insieme ai due figli Diana e Mirko, che ha avuto giovanissimo. Tra il 2006 e il 2007, l’incidente giudiziario di Vallettopoli, archiviato con un "proscioglimento totale". Quindi il ritorno nella villa in Costa Smeralda, beato fra tronisti, ragazze-immagine e qualche amica del vicino "presidente". E poi gli affari con Flavio Briatore, Andrea Carboni e l’ex banchiere Fiorani. La società cassaforte in Lussemburgo. La residenza in Svizzera. Una vita da imperatore dell’immagine, fino all’orribile 2010: il fallimento, le fatture false con l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona. E l’uragano Ruby, con l’accusa di aver favorito la prostituzione portando alle feste di Arcore troppe bellezze pronte a tutto, a cominciare dalla minorenne marocchina per la cui liberazione il premier arrivò a raccontare una balla alla questura di Milano. Tutto "fin troppo pubblicizzato", protesta l’avvocato Alecci, "e senza uno straccio di prova". Eppure anche qui non mancano misteri da chiarire. Forse è solo una coincidenza, però è certo che Mora fa l’errore d’infilare ad Arcore la 17enne "Rubacuori" negli stessi mesi in cui è alla disperata ricerca di fondi per evitare il crac. Ora proprio la nuova inchiesta per bancarotta (vedi box qui sotto) dovrà chiarire i dubbi più insidiosi: soldi che spariscono, garanzie chieste a presunti falsari, un commercialista arrestato per corruzione. Il cuore dell’indagine resta top secret. Per ora l’unica certezza è che la Guardia di finanza scava nei conti riservati di una società fiduciaria che nasconde, nella migliore delle ipotesi, tesori di ignoti evasori. Ma nei casi peggiori spuntano contatti con presunti colletti bianchi della ’ndrangheta del Nord. E in mezzo, il povero Lele, che fino a prova contraria cercava solo qualche aiuto innocente, magari dalle persone sbagliate, distratto com’era da troppe feste per Berlusconi.
ha collaborato Giovanna Trinchella

La nuova accusa: bancarotta in odore di boss

Oltre al caso Ruby, a Milano c’è una nuova inchiesta su Lele Mora: la bancarotta della Lm management, la società che fino al crac dell’estate scorsa gestiva i ricavi di tutta la sua scuderia di personaggi. I debiti superano i 17 milioni e in cassa non c’è più nulla. Le relazioni del curatore fallimentare, come ha verificato "L’espresso", documentano che Mora, stando ai bilanci, non avrebbe nemmeno i soldi per pagare avvocati e commercialisti, costretti a mettersi in coda con altri creditori come Aida Yespica. Nel tentativo di evitare il crac, in primavera Mora aveva offerto al fisco, che reclama tasse non pagate per 15,9 milioni, un "concordato preventivo" garantito da fideiussioni della Cofiart. L’Agenzia delle Entrate però ha rifiutato. E poco dopo i dirigenti della Cofiart sono stati arrestati a Roma per false fideiussioni, utilizzate da decine di gruppi in bancarotta come Agile-Eutelia. Mora rovinato e disperato, dunque? Non proprio: il curatore, Salvatore Sanzo, scrive che in realtà la società fallita avrebbe fornito "significative immissioni di liquidità alla Diana srl", l’immobiliare della figlia di Mora, la stessa che aveva chiesto l’affido di Ruby (negato dal tribunale). La bancarotta s’incrocia anche con un’altra indagine, emersa pochi giorni fa con l’arresto per corruzione del liquidatore ministeriale della Bkn Fiduciaria, Bernardo Draghetti. Secondo l’accusa, i tre titolari di quella fiduciaria avrebbero sottratto almeno 30 milioni a clienti che non potevano denunciarli, perché titolari di fondi neri accumulati con l’evasione fiscale. O peggio: la Gdf indaga anche su contatti con presunti boss calabresi. Oltre alla Bkn, però, Draghetti gestiva il fallito concordato della Lm. E nel mirino dei pm ora c’è anche questo capitolo segreto del crac di Mora.