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 2010  novembre 19 Venerdì calendario

L’ASSENZA DI UNA MAGGIORANZA ALTERNATIVA SPIEGA LA RITROVATA CAUTELA

Il video-messaggio del presidente della Camera e leader di «Futuro e Libertà» è uno strumento di comunicazione piuttosto irrituale: tuttavia risponde a un’esigenza precisa, quella di rinsaldare l’immagine di Fini in un momento delicato. Un’immagine ora assai più prudente di quella che egli stesso e in particolare i suoi seguaci avevano accreditato nelle ultime settimane.

Quel richiamo alla «responsabilità nazionale», tema caro al capo dello Stato (che ancora ieri ha chiesto «un confronto pacato»), è un indizio piuttosto esplicito. Indica che Fini non vuole giocare la parte del destabilizzatore in una situazione già molto deteriorata. La sua priorità consiste nel tenere unito il gruppo parlamentare dei suoi sostenitori, alcuni dei quali non vedono chiaro nel prossimo futuro e sono tentati di tornare nell’alveo berlusconiano.

La posizione del presidente della Camera è la più idonea per chi occupa la terza carica dello Stato. Non significa che «Futuro e Libertà» abbia rinunciato «tout court» a regolare i conti con il premier, ma fa capire che sta prevalendo una maggiore cautela. Sembra quasi che Fini suggerisca a Berlusconi un gesto di apertura, di qui al 14 dicembre. Gli si rivolge dicendo: «mantieni gli impegni», ma senza i toni perentori uditi di recente. Tra le righe non esclude una mossa che permetta ai dissidenti di rientrare nell’area della maggioranza senza perdere la loro dignità politica.

Una volta un’operazione di questo genere passava per le dimissioni del governo in carica, il reincarico al medesimo premier e una nuova trattativa programmatica. Questa era la prassi nella Prima Repubblica. Oggi le cose sono diverse. Perchè Berlusconi dovrebbe dimettersi senza passare per un voto del Parlamento? Perchè dovrebbe facilitare il compito ai suoi avversari, che preferirebbero di gran lunga evitare di esprimere una «sfiducia» plateale che pone allo stesso Fini e a Casini non pochi problemi? E ancora: perchè - potendone fare a meno - dovrebbe mettersi, con le dimissioni e il reincarico, nelle mani dei suoi rivali?

Del resto, se la crisi finanziaria europea è un freno alle elezioni anticipate, lo è anche all’apertura di una crisi «al buio». Non c’è dubbio che tale sarebbe questa crisi. E le opposizioni sembrano entrate in un vicolo cieco che coincide con l’impossibilità di prospettare il fatidico governo «diverso», cioè non più guidato da Berlusconi. Era una prospettiva fragile fin dall’inizio e richiedeva una premessa che non si è verificata: il distacco della Lega, la rinuncia di Bossi alla vecchia e solida alleanza con il premier.

Nel momento in cui il capo leghista, dopo qualche oscillazione, ha deciso di rinsaldare il rapporto politico con il Pdl - per un evidente interesse anche elettorale - lo scenario del governo di transizione, comunque denominato, è tramontato. Solo la rottura dell’asse nordista Bossi-Berlusconi avrebbe incoraggiato cospicue defezioni nel Pdl, offrendo qualche possibilità a un fronte delle opposizioni che non ha saputo definire una proposta alternativa credibile.

Ora sul piano tattico il presidente del Consiglio si è rafforzato, anche in vista del voto sulle mozioni di sfiducia. Qualche ottimista fra i suoi immagina addirittura che potrebbe ottenere il sostegno della Camera, oltre a quello del Senato. E’ presto per dirlo, ma è vero che i toni sono cambiati. Lo si capisce dalle parole di Fini. Ma siamo ancora lontani dalla «condivisione» auspicata da Napolitano.