Danilo Mainardi, Corriere della Sera 19/11/2010, 19 novembre 2010
PADRONI DA CANE E PADRONI DA GATTO. SE SI ASSOMIGLIA AL PROPRIO ANIMALE
Sono loro i «numeri uno», il cane e il gatto, e io li metterei davvero a pari merito, quando si tratta di fare la parte, o diciamo pure il mestiere, di amici dell’uomo. Di entrare cioè nella casa come «uno di famiglia», di essere battezzati con un nome proprio. Di volere e di farsi voler bene. Eppure sono così diversi. Ed è appunto questo saper offrire un rapporto caratteristico e differente, che ha suscitato in molti l’impressione che esista, nella grande diversità tra gli uomini, «gente da cane» e «gente da gatto», così come esistono i tifosi delle diverse squadre di calcio, che mai, per nessuna ragione al mondo, cambierebbero l’oggetto del loro amore.
Ma queste persone, queste «da cane» e questi «da gatto», sono davvero diversi? L’ho sempre sospettato, conoscendo quello che il cane può dare e non può dare, e lo stesso vale per il gatto. Un conto però è avere un’impressione, un altro è poter affermare una realtà suffragata da dati. Ebbene, qualche dato ce l’abbiamo.
Esiste infatti una ricerca di due studiosi californiani, Aline e Robert Kid, che hanno confrontato la personalità di 200 uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 76 anni, tutti possessori di un cane o di un gatto. Eccovi, in sintesi, alcuni tratti di queste personalità.
Il 48% della «gente da cane» risulta molto attratta dai bambini piccoli, contro il 30% della «gente da gatto». Il 30% dei primi, inoltre, gradisce la compagnia di adolescenti mentre, per quanto riguarda i secondi, la percentuale è sotto il 15. I proprietari, maschi e femmine, di cani, hanno poi ottenuto un più alto punteggio per un attributo della personalità che in inglese è detto nurturance, e che può, grosso modo, essere tradotto come il desiderio di essere coinvolti nella vita e nei problemi altrui. Infine, con qualche differenza tra maschi e femmine, gli amanti dei cani sono più aggressivi e hanno maggiore tendenza al predominio (dominanza sociale) rispetto agli amanti dei gatti. In particolare, le donne «da gatti» sono decisamente sotto la media della popolazione femminile per quanto riguarda l’aggressività.
Così, anche se in genere non sono troppo portato ad apprezzare e a credere ai ritrattini statistici basati sui test psicologici, in questo caso mi sembra tutto chiaro. La gente «da cane» è, statisticamente, più sociale, più tendente alle gerarchie, più coinvolgibile in rapporti interpersonali (anche il gatto e il cane di casa sono persone) che non la gente «da gatto». Esattamente, se ci pensate, le stesse differenze che distinguono i nostri amici cane e gatto. È indubbio, infatti, che il cane è del padrone, che gli è sottomesso, che è sempre disponibile a far festa e a obbedire. Il rapporto con il gatto è assai diverso. È, soprattutto, basato sulla pariteticità. Il gatto, è vero, anche lui spesso fa festa, dimostra affetto, ma solo se ne ha voglia, e comunque non è mai sottomesso, e nemmeno così «libro aperto», così sempre comunicativo e comprensibile come la sua scodinzolante controparte. La causa di queste differenze sta quasi interamente nelle origini: il lupo, il progenitore di tutti i cani, è animale gerarchizzato e socialissimo; il gatto selvatico no. Lui è per sua natura un solitario nato.
Dunque in questo strano mestiere creato per loro dalla domesticità, di fare con sentimento e convinzione la parte di amici dell’uomo, il cane e il gatto risultano in un certo senso antitetici e complementari. Coprono, dando ciascuno ciò che può e ciò che sa, le esigenze di gente, ora sappiamo, un po’ diversa. L’importante, in ogni caso, è non chiedere l’impossibile, e cioè che il gatto faccia la parte del cane e viceversa.
Danilo Mainardi